Inchinato, il sacerdote in attesa ci colpiva per la calma perfezione dei suoi movimenti. Nel pomeriggio fermo e assolato, fuori dal padiglione dell’antico edificio, noi eravamo colpiti dalla luce mentre egli, in penombra, sembrava non percepire nulla dell’esterno: il caldo, lo scalpiccio sulla ghiaia dei tanti pellegrini, il chiacchiericcio poco lontano di bambini incuranti della sacralità dei luoghi, il canto ossessivo delle cicale. Immerso in concentrazione, si accingeva a colpire il tamburo. Fra qualche secondo l’avremmo visto muoversi, sempre ieratico, come in un’altra dimensione.
Noi nella luce, egli in penombra.
Oltre la cortina una miko danzava, ma solo per il kami.
Pur non vedendo nulla di ciò che avveniva all’interno noi, fuori, abbacinati dalla luce, restavamo in silenzio a guardare.