Subito dopo essersi alzati, la recitazione dei sūtra, primo servizio del mattino, inaugura la giornata nel tempio zen. L’alba sta sopraggiungendo e un forte vento si precipita dentro al padiglione principale attraverso le porte scorrevoli. Ne esala una melopea armoniosa, quella della recitazione dei sūtra della grande assemblea. Essa segue un ritmo vigile, martellato dal singolare suono dei due gong: il gong di rame e quello in legno a forma di pesce* che risuona tutt’attorno, nel silenzio del “recinto puro”.
Nella sala a malapena rischiarata, al suo posto di meditazione, il maestro brucia l’incenso e ne fa l’offerta, davanti alla statua del Buddha. Lo fa dapprima per i fondatori del buddhismo zen, poi per i maestri della trasmissione e infine per i grandi donatori.
Con pietà, si inclina in segno di venerazione davanti a loro, a più riprese, e ogni volta il cantore declama il testo della “retrocessione dei meriti per la salvezza dei defunti”. Nel frattempo, il cerimoniere, il bastone dell’ammonizione in mano, effettua la sua ronda incessante, colpendo con un colpo secco la spalla di un addormentato.
Ecco i sūtra declamati nel tempio:
hannya-shin-gyō, il sutra del Cuore,
daihi-shū,
kanro-mon,
la formula incantatoria attraverso la quale si chiede di essere protetti da calamità naturali, sonshō-dhāranī,
ryōgon-shū,
il sūtra di Kannon, Kannon-gyō,
il sūtra del Diamante, kongō-gyō,
e infine lo hotsugan-mon.
La meditazione, così come se l’augurava la saggezza degli antichi, si volge quasi in preghiera, al tempo stesso riconoscenza per la traccia che hanno lasciato sulla via del Buddha e sprone, per ognuno, alla pratica del bene. Liberarsi dei pensieri vani per immergersi nella meditazione è creare l’occasione che favorirà il Risveglio.
Una massima concentrazione tanto fisica che mentale accompagna così l’ora che si trascorre in esercizio.
Satō Giei
(1920-1967)
Fonte:
Satō Giei, Journal d’un apprenti moine zen (Unsui nikki, 1966),
traduit du japonais par Roger Mennesson, Arles, Philippe Picquier, 2010, pp. 42-43.
Edizione giapponese pubblicata da The institute for Zen studies nel 1972.
❖Mia traduzione “di servizio” dall’edizione in lingua francese.
*Questo particolare gong appeso, a forma di lungo pesce orizzontale, si chiama gyoku.
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