Hyakunin isshu. Cento poesie per cento poeti. 13.

Utagawa Kuniyoshi (1797–1861), Yōzei-in, dalla serie Hyakunin isshu no uchi, 1840-42.

筑波嶺の
峰より落つる
みなの川

恋ぞつもりて
淵となりぬる

Tsukubane no 
Mine yori otsuru 
Minano kawa 
Koi zo tsumorite 
Fuchi to narinuru

Yōzei in 

(868-949)

 

Come il fiume Minano Come all’apice Il mio amore è profondo
che cade dalla vetta sui fianchi di Tsukuba come le pozze d’acqua
del monte Tsukuba (così) scorre il Minano che il fiume Minano forma
il mio amore, accumulandosi, così l’amore incalza precipitando dai picchi
è divenuto acqua profonda. profondo come abisso.  del monte Tsukuba.
  Trad. di Marcello Muccioli.    Trad. di Nicoletta  Spadavecchia.   Trad. di Andrea Maurizi.

Fonte per il testo giapponese:

Japanese Text Initiative della University of Virginia Library.

Le traduzioni sono tratte da:

Marcello Muccioli (a cura di), La centuria poetica, Milano, SE, 2010 (prima edizione: Firenze, Sansoni, 1950).

Nicoletta Spadavecchia, Michelangelo Coviello (a cura di), Fujiwara Teika. Tanka. Antologia della poesia classica giapponese, Milano, Corpo 10, 1990.

Andrea Maurizi, Poesie di cento poeti in Virginia Sica, Francesca Tabarelli de Fatis (a cura di), Lo spirito giovane della calligrafia classica. Personale di Kataoka Shikō, Trento, Go Book, 2006.

☛ Ho scelto queste traduzioni e non altre, che pure esistono, perché già nella mia disponibilità.

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L’immagine che ho scelto per illustrare il waka n°13 è di Utagawa Kuniyoshi (1797-1861), artista del tardo periodo Edo la cui sensibilità è, inevitabilmente, molto diversa da quella che ha dato origine al componimento poetico dell’imperatore in ritiro Yōzei, uno dei Sei Poeti Immortali della tradizione.

E in questa immagine, ecco cosa vedo.

In un paesaggio indistinto, immerso nelle nebbie autunnali, più piani orizzontali emergono, sovrapponendosi in una scena in cui sembra prevalere la componente allusiva. In primo piano, nella fascia più bassa della stampa di Kuniyoshi, un gruppetto di uomini sosta sull’orlo erboso di un dirupo ad ammirare il paesaggio avvolto dalla nebbia. Fra di essi si distingue un viaggiatore, dal caratteristico, ampio copricapo, il sandōgasa, e dalle vesti rimboccate, che si volta a guardare la scena: è senz’altro un samurai perché reca al fianco il daisho, ossia la coppia katana-wakizashi (spada e spadino corto), privilegio unicamente riservato alla sua classe. Dietro di lui un portatore trasporta sulle spalle i bagagli del misterioso viandante: è a capo nudo ma sulla scatola di legno che reca davanti è appoggiato un altro copricapo in paglia, il sugegasa, adatto a un personaggio di rango inferiore, mentre alla scatola dietro è legato un ombrello di carta. I due sono preceduti da una guida, tipicamente a gambe nude e, come loro, provvista dell’indispensabile bastone da viaggio, immancabile accessorio di ogni viandante e pellegrino. La guida si è voltata, è scesa su una piccola costa erbosa e indica con il braccio destro un punto nel paesaggio: quel monte Tsukuba spesso citato nei versi di tema amoroso perché tsuku allude a “essere attaccato a qualcuno, qualcosa” e perché il monte ha due vette, a ovest la Cima-Uomo e a est la Cima-Donna. Il gesto della guida è il momento centrale della scena, blocca ogni movimento dei personaggi, provoca una cesura nel loro cammino.

Ma il monte, in realtà, non si vede. Immediatamente dietro il gruppetto emerge una fascia bruna di boscaglia e poi uno strato di nebbia grigiastra dal colore via via più intenso. Più in alto è l’ultima fascia che compone la stampa: una macchia scura di fogliame, di cime di alberi di cui non si percepisce che qualche brandello qui e là rivelato dai banchi di nebbia. Lassù, molto lontano, ecco a cosa è rivolto lo sguardo dei viaggiatori: il fiume Minano si getta a cascata dai picchi, striscia bianco-azzurra che dona una pennellata di luce allo sfondo della stampa. Le pozze profonde che crea il fiume, impetuoso come un sentimento d’amore passionale, non è possibile vederle: sono profonde come le nebbie che tutto avvolgono, profonde come l’amore che anima il poeta.

Un ultimo particolare attira la mia attenzione: fra le figure in primo piano un quarto uomo sembra non essere molto preso dal paesaggio. Seduto  a gambe penzoloni sull’orlo della costa, le gambe nude e il capo scoperto, potrebbe essere un contadino che si riposa. L’atteggiamento rilassato delle gambe e della mano sinistra appoggiata al prato, la veste a scacchi che scivola da una spalla, lo sguardo annoiato, tutto in lui fa pensare a uno spettatore che guarda i forestieri passare, inseguendo solo i propri pensieri, in attesa che il sentiero si liberi e che il brusio delle chiacchiere si allontani per potersi finalmente riposare in pace.