Questo mese: yakitori!

Piccoli ristoranti a Kurashiki, agosto 2007
Piccoli ristoranti a Kurashiki, agosto 2007

Yakitori
Spiedini di pollo
Preparazione: 30 min.
Cottura: 15 min.

Ingredienti: 400 g di cosce di pollo disossate (tenere 1 osso) – 3 o 4 porri – olio – shichimi tōgarashi oppure sanshō

Le dosi sono per 4 persone.

Per la salsa: ½ tazza di mirin – ½ tazza di sake – 1 tazza di salsa di soia – 3 cucchiaini di zucchero

Tagliare a tocchetti la carne del pollo; abbrustolire sulla fiamma l’osso e tenerlo da parte. Mescolare in una padella il mirin e il sake, far bollire perché l’alcool evapori, aggiungere la salsa di soia, lo zucchero e l’osso bruciacchiato e lasciar cuocere finché la salsa si riduce a metà. Lavare i porri, asciugarli e tagliarli a pezzi della stessa misura dei bocconi di pollo.
Infilzare sugli spiedini i tocchetti di carne e porro, alternandoli.
Il classico yakitori vuole gli spiedini grigliati sulla brace, spennellati o intinti nella salsa e di nuovo passati sulla graticola, ma questa cottura riempie la casa di fumo ed è realizzabile soltanto da chi abbia una griglia in giardino. In casa si potrebbero porre due mattoni di fianco alla fiamma del gas e cuocere così gli spiedini, ma si crea ugualmente fumo e in fondo è meglio adattarsi a cuocere in una normale, ampia padella.
Scaldare pochissimo olio e porvi gli spiedini a colorire; quando sono rosolati, scolare via l’olio, irrorarli con un po’ di salsa e cuocerli per pochi minuti, muovendoli e girandoli perché non si attacchino sul fondo, unendo ogni tanto poca salsa: se questa si addensasse troppo si può allungare con un po’ di acqua. Servire gli spiedini ben cotti e coloriti (3 o 5 per persona) in piatti rettangolari, in un angolo dei quali va messo un mucchietto di shichimi tōgarashi (o di sanshō). Vi si intingono appena i bocconcini di carne.

Altre parti del pollo possono essere utilizzate per questa ricetta: ali, petto, fegatini (ottimi, ma vanno lasciati a lungo in acqua fredda perché perdano il sangue, poi asciugati bene), ventrigli, addirittura striscioline di pelle arrotolata, piccole polpette di carne trita e uova di quaglia sode e sgusciate. Anticamente si cuocevano allo spiedo anche gli uccellini (passeri ecc.), un po’ come nelle montagne bergamasche della mia infanzia (in Giappone però manca la polenta).
Oggi una migliore coscienza ecologica e la compassione per i poveri volatili hanno ridotto notevolmente questo barbaro costume, anche se vi è chi vi indulge ancora, ma un po’ di nascosto. Per quanto riguarda i vegetali, insieme al porro si potranno inserire pezzi di peperone, peperoncini verdi non piccanti, cappelle di funghi e ginnan.
Curiosità. Gli spiedini di pollo sono notissimi a chiunque sia stato in Giappone perché si possono gustare in lussuosi ristoranti campagnol-chic e in incredibili bettole ricavate nel poco spazio esistente sotto le ferrovie sopraelevate che corrono nelle città.
In questi luoghi, se si chiude un occhio sull’igiene, cuochi ingegnosi offrono profumati, buonissimi yakitori ai passanti che li gustano appollaiati su microscopici sgabelli. Avvolti dalle nuvole di fumo emesso dagli spiedini che cuociono su griglie poste sulle braci e in mezzo al tremore della precaria costruzione causato da ogni treno che passa, è possibile gustare un veloce spuntino a qualsiasi ora, anche alle quattro del pomeriggio, facendo amicizia col vicino di sgabello, di gomito e anche di spiedino.yakitori a Tokyo
Verso le sei di sera, quando gli impiegati escono dagli uffici, ecco che gli yakitoriya (ya, “locale, negozio”), con le loro insegne illuminate da lanterne rosse di carta, si affollano di persone che gustano uno spuntino, bevendo qualcosa prima di tornare a casa. Antesignana dell’happy hour, questa abitudine permette al giapponese medio di rilassarsi dopo il lavoro, di riscaldarsi nella stagione fredda, di chiacchierare con amici e colleghi. Con questi ultimi è normale anche sfogare le tensioni accumulate durante la giornata, lamentandosi un po’ di tutto e ricaricandosi così per il giorno seguente. E regola non scritta, ma validissima, che in questi momenti si possa parlare liberamente, anche con i superiori (che sono tenuti a uscire “a bere” con i dipendenti e abbastanza spesso), che il giorno dopo non mostreranno alcun risentimento per l’eventuale sfogo dell’impiegato, ma l’avranno “metabolizzato” e, se intelligenti, avranno fatto tesoro di quanto udito, seduti vicini, al bancone, davanti a una serie di ottimi spiedini e a qualche bicchiere di birra o di sake.
Questa e altre gustose ricette si trovano in:giappone cucina cop

Graziana Canova Tura
Il Giappone in cucina. Nuova edizione riveduta
Ponte alle Grazie, 2006

 

 

 

Chi è Graziana Canova Tura.

Nata a Milano nel 1940, ha lavorato a lungo per una grande banca milanese.

Vive a Lovere, sul lago di Iseo.

Ha studiato lingua e cultura giapponese presso l’Is.M.E.O. (Istituto per il Medio ed Estremo Oriente, oggi LS.I.A.O.) di Milano.

Ha trascorso in Giappone gli anni dal 1970 al 1975 e durante il soggiorno a Tōkyō

ha frequentato i corsi di lingua giapponese della Sophia University.

Per due anni ha tenuto una trasmissione radiofonica in lingua italiana alla NHK, la Radiotelevisione nazionale; ha inoltre presentato ricette (italiane) in un programma televisivo e su riviste giapponesi.

Rientrata in Italia si è laureata con lode all’Università Ca’ Foscari di Venezia in lingua e letteratura giapponese con una tesi sullo scrittore Fukunaga Takehiko.

Ha frequentato corsi di pittura a inchiostro (sumi e), di scrittura col pennello (sho), di ikebana, ha tenuto conferenze sulla cultura giapponese in vari Circoli e Associazioni e ha partecipato a una serie di trasmissioni sull’Asia presso una radio privata milanese. Ha inoltre frequentato un corso triennale di shiatsu.

È stata per oltre vent’anni membro della European Association for Japanese Studies, è socia fondatrice del Centro di Cultura Italia-Asia “Guglielmo Scalise” di Milano, e membro dell’ AISTUGIA (Associazione Italiana per gli Studi Giapponesi) dal 1976 – (Consigliere dal settembre 2005).

Ha scritto:

– Il Giappone in cucina (Mondadori, 1994)

La cucina zen (Xenia, 1998)

Giappone (Fabbri, per la collana di Cucina Etnica, 1999)

Sushi (Fabbri, 2000).

– Il Giappone in cucina (nuova edizione ampliata; Ponte alle Grazie, 2006)

Ha curato alcune traduzioni di opere letterarie nell’ ambito della Collana di classici giapponesi di Marsilio, traduzioni alle quali è stato assegnato il premio Alcantara 2000:

Fukunaga Takehiko, La fine del mondo, 1988

Edogawa Ranpo, La belva nell’ ombra, 1992

Enchi Fumiko, Maschere di donna, 1999.