Impermanenza: a proposito di un incontro a Milano.

 

Oltre il tetto, i ciliegi. Ryoanji, primavera 2007.

 

“A cosa paragonare il mondo e la vita dell’uomo?

All’ombra della luna quando nella goccia di rugiada tocca il becco dell’uccello acquatico.”

Dōgen Zenji (1200-1253)

 

MUJŌ

Impermanenza

La nozione di impermanenza del mondo fenomenico è uno degli insegnamenti centrali del Buddhismo. La riflessione su questo tema ne percorre tutta la storia ed è presente in tutte le scuole. Si tratta del concetto del carattere fugace, transitorio di ogni essere senziente, di ogni azione, di ogni fenomeno. Non solo, anche i sentimenti, gli stati della coscienza, le sensazioni sono soggetti a questo dominio. Si tratta di un concetto che definisce un’assenza di continuità fra le azioni, una sorta di vacuità temporale che permette al singolo momento del presente di esistere ma, al contempo, a nessun attimo di esistere indipendentemente dal passato e dal futuro, cioè da quella rete di eventi che lo avvolge in una interdipendenza che solo con la liberazione dai pensieri illusori e la percezione della totalità nel satori si può  esperire, superando le forme di dualismo prodotte dalla mente per classificare in categorie razionali la realtà indifferenziata. La percezione umana della realtà è illusoria: come non esiste infatti separazione fra l’io conoscente e gli oggetti, non esistono neppure il tempo e lo spazio. L’impermanenza è uno dei tre sigilli del Dharma, una delle tre caratteristiche dell’esistenza condizionata (s. trilaksana), insieme all’inesistenza del sé (s. anatman) e alla sofferenza (s. duhkha). Credere nella durata dei fenomeni che appaiono eterni o aspirare all’immortalità non è allora che illusione, manifestazione dell’ignoranza e causa dell’incessante moto di rinascite e morti che alimenta il ciclo del samsara. Credere nella permanenza di ciò che non lo è causa dolore. Al concetto di impermanenza è strettamente collegato quello di vacuità (s. sunyata).  

 

Nome

sanscrito: anitya, pali: anicca, cinese: wuchang, giapponese: mujō

 

Jiun Onko (1718-1804), "Come un sogno", rotolo verticale, inchiostro su carta, Sylvan Barnet and William Burto Collection.

 

Proprio davanti ai vostri occhi vi si porge l’occasione di vedere come gli attimi passano senza tregua, i giorni scorrono in perenne mutamento, e tutto rapidamente trapassa. (…) Fate tesoro di ogni attimo fuggente e non contate sul domani. Pensate soltanto a questo giorno e a questa ora, perché il domani è cosa incerta; e nessuno sa che cosa il futuro porterà. Apprestate la vostra mente a seguire il buddhismo come se aveste soltanto un giorno di vita.

Dōgen Zenji

 

Da:

Rossella Marangoni, Zen, collana “Dizionari delle religioni”, Milano, Electa Mondadori, 2008, p. 130.

 

Parleremo di MUJŌ 無常 

giovedì 17 gennaio, alle ore 18.30

in occasione della mostra personale dell’artista
Tetsuro Shimizu

 

alla Galleria Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili,

via Marsala 4, 

Milano

Ingresso libero.