Un anno fa, dopo un’assenza di quattro anni, tornavo in Giappone. Non sola, ma con un gruppo di amici e allievi dei corsi di cultura giapponese. Un anno fa ci accoglievano i ciliegi di Kōbe, il vento e la pioggia di Miyajima, i cervi infreddoliti, i templi nella nebbia.
Un anno fa ci accoglievano i locali fumosi e un po’ nascosti oltre ripide scale: takoyaki e okonomiyaki ci scaldavano nella fredda primavera. Era bello addormentarsi sapendo che fuori, nella notte, le luci della città vegliavano per noi e, al mattino, ritrovare le strade risvegliarsi a un pallido sole.
Un anno fa, lungo il Takase, sotto i ciliegi come impazziti di fioritura, penetravamo nella serata di Kyōto, nell’incantesimo delle luci e dei petali. E a Nara il Todaiji ci accoglieva come un porto sicuro, nel sole del pomeriggio, fra nuvole di petali rosa, bianchi.
A volte la pioggia rendeva indistinti i contorni, la miko dai rossi hakama si muoveva in fretta sulla ghiaia dell’immenso cortile del Kashihara jingū, gli alberi sul laghetto grondavano acqua e fiori. Come in un sogno.
Un anno fa ci ritrovavamo sotto il panda gigante nella hall della stazione di Ueno, percorrevamo il perimetro dello stagno di Shinobazu facendoci prendere dalla città. Quali percorsi avremmo seguito, dove ci avrebbe portato questa volta il ritmo della metropoli?
Un anno fa ritrovavo Tōkyō, le stradine affollate sotto la ferrovia, il nitore delle linee dei grattacieli, le vecchie case di legno accanto ai templi e alle tombe di Yanaka, i vicoli quasi tratturi incassati in un quartiere che sembra un villaggio e il rincorrersi delle sopraelevate sulle nostre teste, mentre in battello percorriamo il Sumida, inseguiti dai gabbiani. Tōkyō ci offriva il matcha in un padiglione nel cuore dei giardini di Hamarikyū, ci offriva il tenpura poco lontano dal Sensōji, nella vecchia Asakusa, ci regalava i petali caduti di una grondante primavera, ancora incerta.
E io sentivo che non sarei stata capace di raccontarla meglio, questa città, che accompagnando gli amici per quelle strade, che indicando una fontanella nascosta, un kimono appeso in una vetrina, un gatto sonnecchiante su un cornicione, un sasso avvolto da una corda all’inizio di un sentiero, un grappolo di ema appeso al trespolo di un tempio e sbatacchiato dal vento…
Non avrei potuto presentarla meglio che camminando e camminando per quelle strade, salendo e scendendo dai treni metropolitani, percorrendo quartieri conosciuti e sempre nuovi e intanto pregando, dentro di me: “Spalancate gli occhi e la mente. Ascoltatene il cuore. Lasciatevi conquistare.”