Un volume ingiallito ritrovato a Parigi da un’amica: su una bancarella? Fra i tesori di un bouquiniste? Nell’angolo dimenticato di una libreria antiquaria? Non so. Me l’ha regalato.
E leggerlo e scoprire le osservazioni acute di una mente intelligente e brillante, con una buona dose di indipendenza critica e animata da curiosità sincera e priva di quella fastidiosa ingenuità a volte sfoggiata da certe viaggiatrici dell’epoca, mi messo voglia di tradurlo per voi. Lo farò capitolo per capitolo, procedendo poco per volta, invitandovi alla scoperta.
Dell’autrice non so nulla tranne il nome, un nome:
Tormia
Voyage au Japon/Viaggio in Giappone
1923
1 Arrivo
Mentre il piroscafo fende maestosamente i flutti, così blu in questa radiosa mattina di dicembre, scruto avidamente il primo avvistamento della terra giapponese. La terra? Le terre? Sono degli isolotti dai contorni frastagliati che compaiono in lontananza, ancora scuri sul fondo più chiaro del cielo, malgrado il sole che sale lentamente dietro di essi, orlandoli d’oro. Già giunge fino a me qualche folata di quell’aria salina peculiare della costa, quell’aria che non si respira in mare aperto.
Nessuno sul ponte, a quest’ora del mattino. Sola, mi appoggio al parapetto. Non dormo sin dalla notte. Fin dall’aurora, sono salita facendo i gradini quattro a quattro su questo ponte su cui mi trovo, il ponte delle scialuppe di salvataggio.
Vedere! Vedere sola, tutta sola con la mia emozione, tutta sola con il mio cuore che batte più forte, le prime immagini reali della mia nuova patria.
Cosa sarai tu per me, per la parigina così lontana; tu, terra misteriosa e piena di incanti intravista nei miei sogni di ragazza e di donna?
Cosa riservi a colei che viene verso di te completamente fiduciosa, adottandoti a cuore aperto come proprio nuovo paese? Non ti riprenderai, o terra che dicono affascinante e stregata, colui che voglio tenere per me sola?
Come ho paura… Sarà lo stesso uomo per me, LUI, nel suo paese, nel suo ambiente? O piuttosto occorrerà presto, fra poche ore, dire addio per sempre alla nostra cara tenerezza, che noi crediamo, con fervore, eterna?
Ecco che mi invade un’immensa malinconia. Tremo per la mia felicità, acquisita così caramente dopo anni di lotta contro i pregiudizi maligni, pregiudizi di razza, di religione, di famiglia.
Comprenderà lui che ho bisogno più che mai del suo amore e della sua protezione? Come mi sento piccola di fronte all’Ignoto. Non diventerà per me uno sconosciuto, anche lui, questo essere ancora un po’misterioso, che prenderanno fra i loro artigli la sua Patria, la sua famiglia, la sua razza, infine tutto ciò che sta dietro e attorno a lui di quel muro di eredità giapponese eretto forse contro ogni eredità francese di cui porto in me i riflessi vivi?
E cosa sta facendo lui, che non viene a raggiungermi, in questo attimo tragico nel quale mi interrogo sul mio destino? Da dieci anni non rivede il suo paese. Sa che stiamo entrando nelle acque giapponesi e non è qui. Che indifferenza.
Ma presto il mio pensiero è distratto dallo spettacolo che si offre alla mia vista. Entriamo nel Mare Interno. Il piroscafo ha rallentato per penetrare attraverso passaggi stretti fra le montagne verdi tutte disseminate di piccole scatole grigie: le case giapponesi.
Delle scialuppe ci incrociano, o meglio, ci scortano lanciandoci con tutte le loro sirene degli hou-hou di benvenuto ai quali il nostro piroscafo risponde con la sua buona, grossa voce.
Di fronte a noi, in fondo a questa valle blu verde e oro che è l’ingresso del Mare Interno, sale al cielo, maestosamente, in tutta la sua gloria, il grande Sol Levante.
Traduzione (errori compresi) e foto sono mie. R.M.