Civiltà del riso e della risaia, il Giappone. Cultura del riso. Gesti antichi che ne ritmano la coltivazione.
Rileggendo Le sauvage et l’artefice. Les Japonais devant la nature del geografo Augustin Berque, un autore che ammiro, ritrovo uno haiku di Kisei (1688–1764) che mi sembra racchiuda perfettamente l’immagine dei giorni del trapianto del riso (taue), che veniva effettuato tradizionalmente ai primi di luglio:
早乙女や 泥手にはさむ額髪
Saotome ya
dorote ni hasamu
hitaigami.
La mondina
con le dita infangate
si sistema una ciocca sulla fronte.
Il tema delle mondine che trapiantano il riso ricorre nella poesia come nell’arte della stampa a matrice di legno come un potente riferimento stagionale per la piena estate. Il lavoro nella risaia per i poeti e gli artisti di periodo Edo definisce il paesaggio, ne è un elemento caratteristico, ne è sublimata la gestualità mentre resta sullo sfondo, non detta, tutta la fatica e la sofferenza di un lavoro nell’acqua, nel fastidio degli insetti, al caldo torrido della piena estate. Erano soprattutto le donne a doverlo eseguire, e lo facevano, almeno nella tradizione iconografica che ci viene tramandata, indossando i pantaloni blu delle contadine (monpe), un obi rosso, un fazzoletto bianco sulla testa, un ampio cappello di paglia (ajirogasa) e, nei giorni di pioggia battente, un mantello di paglia, cantando i canti della risaia, taue uta, al ritmo del tarōji, il maestro delle risaie.
Il trapianto del riso è un atto che racchiude tutta la sacralità di una civiltà del riso ed era svolto con particolare solennità, alla presenza di sacerdoti shintō e al suono di tamburi. Si trattava del momento più importante nel ciclo della coltivazione del riso, cruciale per la realizzazione di un buon raccolto: le piantine, fatte crescere altrove, venivano messe a dimora nella risaia inondata. La successione dei gesti, ritmata dal battito dei tamburi e dal canto, si faceva danza sacra affinché il kami della risaia (tanokami), invocato dalla comunità tutta, presenziasse all’evento ricolmando i presenti dell’auspicio di un ricco raccolto.
Nella poesia haiku la figura della mondina (saotome) ritorna spesso ed è un classico tema stagionale legato all’estate:
Saotome ya
yogorenu mono wa
uta bakari.
Piantatrici di riso:
non è infangato solo
il loro canto.
Konishi Raizan
(1653-1716)*
Eppure c’è un’immagine invernale che si collega idealmente a questi giorni d’estate: è quella curiosa del trapianto del riso nella neve, un’antica tradizione di alcune località delle prefetture di Yamagata e Akita, nella regione del Tōhoku. I contadini mimavano il taue piantando, nelle risaie innevate, dei fasci di paglia di riso. Nei villaggi del “paese delle nevi” questa cerimonia accoglieva la visita del kami dell’anno nuovo (toshi no kami) il quale, vedendo la paglia piantata nelle risaie, avrebbe benedetto la preghiera delle comunità per il buon raccolto.
Da studiosa non posso provare nostalgia per un passato che non c’è più, per il Giappone romantico e idealizzato di chi, a volte, dimentica la realtà delle condizioni di vita e la realtà delle dinamiche storiche che pure sono documentate dalle fonti e dalle ricerche. Non posso accettare ricostruzioni arbitrarie e selettive del passato. Ma posso continuare ad amare l’arte e la poesia.
Sempre.
Sararetaru
mi o fumikonde
taue kana.
Abbandonata –
Nel trapianto del riso
affonda il corpo.
Yosa Buson
(1716-1783)**
*Traduzione di Elena Dal Pra.
**Traduzione di Mario Riccò e Paolo Lagazzi.