Da Kamiichi a Miyataki la strada si snodava lasciandosi il fiume sulla destra. Mano a mano che mi addentravo tra i monti, l’autunno era più presente. Di continuo attraversavamo boschi di querce dove i nostri piedi calpestavano un tappeto di foglie fruscianti. Pochi gli aceri, disseminati qua e là, ma le foglie autunnali erano al loro meglio: edera, sommacchi, e alberi della lacca costellavano i picchi dominati dai cedri con sfumature che andavano da un rosso cupo al giallo più delicato. Si parla sempre di “foglie rosse”, ma in realtà sono molteplici varietà di giallo, marrone cupo e cremisi. Anche solo tra le foglie gialle c’erano dozzine di varianti diverse. Si dice che il volto della gente s’imporpori in autunno, a Shiobara in Shimotsuke: è bella la vista di foglie dal colore rosso uniforme, ma altrettanto attraente era questa molteplicità. Locuzioni come “ricoperto d’ogni sorta di screziature” o “mille viola diversi, diecimila specie di porpora” vengono in genere usate per descrivere l’affollarsi di colori nei fiori selvatici di primavera, ma anche qui la varietà era tale e quale quella di campi primaverili, con la differenza che il tono predominante era di un giallo autunnale. E nella luce che giungeva sulle vallate attraverso i dirupi, le foglie volteggianti si posavano in uno scintillio dorato sull’acqua.
Tanizaki Jun’ichirō
Da Yoshino, trad. di Adriana Boscaro, Venezia, Marsilio, 1998, pp. 73-74.