Schermi di incomparabile bellezza. Paraventi giapponesi in mostra.

Ho scritto questo testo per presentare la mostra “Hanami – ammirare i fiori”, dedicata ai paraventi giapponesi della collezione della Galleria Giuseppe Piva di Milano, che si tiene fino al 4 ottobre a Villa Ceccato, a Montecchio Maggiore, poco fuori Vicenza, in un panorama di dolci colline e castelli nascosti dai boschi. 

Scuola Kano (metà per. Edo), Paesaggio primaverile con fagiani, part.. Paravento a 6 ante, inchiostro, pigmenti e gofun su fondo oro.
Scuola Kano (metà per. Edo), Paesaggio primaverile con fagiani, part. Paravento a 6 ante, inchiostro, pigmenti e gofun su fondo oro.

 

Schermi di incomparabile bellezza: i paraventi giapponesi.

 

Può sembrare paradossale che l’epoca di massimo splendore nell’arte dei paraventi giapponesi sia stata anche una delle più sanguinose: il periodo Momoyama (1573-1603), nel quale i clan guerrieri del Giappone si scontravano per la supremazia militare, vide alla ribalta grandi strateghi come Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi che all’astuzia e alla ferocia sul campo di battaglia univano una notevole sensibilità artistica in un connubio per noi insolito e intrigante. 

L’arte del paravento in Giappone, però, ha una storia antica che risale almeno all’VIII secolo, quando era un semplice schermo di legno o di carta montato su piedi. È lo tsuitate, un tipo di paravento ancora in uso negli ingressi delle residenze nobiliari di campagna. Ben presto a questo schermo si affiancò il byōbu, o paravento pieghevole, concepito per “frangere il vento”, come rivela il suo nome in giapponese (byōbu sta per “muro di vento”) e per delimitare gli spazi interni delle residenze giapponesi antiche. La casa giapponese tradizionale, infatti, costruita in legno e carta per reggere meglio ai terremoti e permettere agli abitanti di affrontare più agevolmente le calde e afose estati dell’arcipelago, era fondata sul concetto di spazio modulare in cui i fusuma, ossia pareti in carta e seta che scorrono su guide, e l’assenza di muri interni favorivano un uso vario degli spazi e la possibilità infinita di delimitarli, a seconda delle necessità, attraverso paraventi che potevano essere di 2, 3, 4, 6 o 8 pannelli, uniti da cerniere in metallo o in carta, e che si potevano piegare e riporre in scatole/bauli dalle lunghe maniglie metalliche quando non servivano.

Nella cultura giapponese la funzionalità degli oggetti non è mai disgiunta da una preoccupazione di carattere estetico. Questa regola permise alla superficie dei pannelli dei paraventi di diventare supporto privilegiato per la pittura e la calligrafia. Già a partire dal periodo Heian (794-1185), l’epoca di fioritura della più raffinata cultura di corte del Giappone classico, i paraventi diventarono vere e proprie opere d’arte create in particolari occasioni cerimoniali come nozze imperiali o i riti per la maggiore età di un principe. Anche se rari sono gli esemplari dell’epoca sopravvissuti agli incendi che spesso distruggevano gli edifici antichi, sappiamo dell’uso di celebrare a corte un evento speciale con un nuovo byōbu la cui superficie veniva calligrafata dai più insigni calligrafi del tempo con poesie composte per l’occasione da celebri poeti. Accanto agli eleganti segni grafici, illustri pittori dipingevano i soggetti naturali che erano cantati nei versi. Perché una delle caratteristiche più straordinarie del paravento giapponese è che si tratta – e da sempre – di un’opera d’arte collettiva, un’opera che richiede la collaborazione fra un certo numero di artisti: il pittore, il decoratore, il fabbricatore della carta, il tessitore che crea il bordo di broccato, il laccatore e altri ancora.

A mano a mano che l’arte del paravento di diffuse nel gusto dei clan guerrieri del Giappone dei secoli XVI e XVII e poi delle famiglie dei ricchi mercanti, la decorazione pittorica andò ad occupare l’intera superficie dei paraventi che, il più delle volte, venivano creati a coppie. I temi stagionali, allora, erano appaiati e contrapposti secondo l’estetica della variazione che è un’altra caratteristica del gusto giapponese: se su un paravento della coppia erano dipinti i fiori della primavera, sull’altro paravento si ammiravano le erbe d’autunno.

Se nelle decorazione è la natura il soggetto privilegiato, altrettanto importante è l’alternarsi di pieni e vuoti e le superfici trattate a foglia d’oro che creano nuvole da cui emergono le scene sottostanti: un antico espediente che permette tante variazioni d’atmosfera quanti sono i giochi della luce. Mentre la bellezza senza tempo dei byōbu si rinnova senza sosta davanti ai nostri occhi.*

 

*L’articolo è stato pubblicato su Il Giornale di Vicenza di sabato 5 settembre 2015 con il titolo “Pareti giapponesi”.

Yano Sesso (1714-1777), Paravento con piante di banano e peonie. Paravento a 6 ante, inchiostro, pigmenti e gofun su fondo oro.
Yano Sessō (1714-1777), Paravento con piante di banano e peonie. Paravento a 6 ante, inchiostro, pigmenti e gofun su fondo oro.