Primo incontro con il maestro
Qualche giorno più tardi Yōkan scopre quando avrà luogo il primo incontro con il maestro. A questo scopo, riveste la sua tonaca, si infila le calzine bianche, si munisce di un bastoncino d’incenso per il “primo incontro”, poi si reca alla cella del maestro. È la prima volta che lo vede, ma non è certo l’ultima volta che busserà a quella porta, mattina e sera, per consultare l’uomo che, dirigendolo nella sua ricerca, gli somministrerà il suo insegnamento, il maestro sotto l’egida del quale si confronterà con la Legge.
La tradizione tramanda che gli antichi approfittavano del primo incontro con il maestro per affrontare una difficoltà che volevano risolvere, anche se ciò voleva dire sollecitarlo senza tanti complimenti.
Ma il nostro giovane Yōkan non è di questo genere di disposizione. Il suo corpo è teso come una corda di violino, al punto che riesce con fatica, al momento giusto, a offrire l’incenso osservando le regole del protocollo che gli hanno insegnato. È riuscito finalmente a dispiegare il suo cuscino per sedersi e ha effettuato la tripla profonda prosternazione davanti al Buddha e poi davanti al maestro. Quando l’assistente ha portato un tè profumato, ha vuotato la sua tazza imitando il maestro. Recuperata un po’ della sua calma, nota la robusta costituzione fisica del maestro in posizione zen, e ciò suscita in lui la stessa simpatia che potrebbe provare per uno degli anziani del suo villaggio; ma, nello stesso istante, un breve sguardo lo penetra, cosa che lo incita a inchinarsi immediatamente, rannicchiato su se stesso.
Subito, con una voce leggermente rauca, il maestro lo interroga sulle sue origini, vuole sapere del tempio dove si è formato. Il tono, contro ogni aspettativa, è caloroso, e il maestro si indirizza a lui con una tenerezza che era lontano dall’immaginare. Nella sala in cui fluttua il profumo di quell’incenso prezioso, Yōkan riceve un insegnamento sulle disposizioni del cuore richieste dagli “esercizi religiosi”. È qui che si stringe, d’ora in avanti, il legame fra maestro e discepolo. E quando sta per lasciare la cella del maestro sente che i suoi nervi, fino ad allora messi alla prova, si sono anch’essi distesi.
Satō Giei
(1920-1967)
Fonte:
Satō Giei, Journal d’un apprenti moine zen (Unsui nikki, 1966),
traduit du japonais par Roger Mennesson, Arles, Philippe Picquier, 2010, pp. 30-31.
Edizione giapponese pubblicata da The institute for Zen studies nel 1972.
❖Mia traduzione “di servizio” dall’edizione in lingua francese.
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