Mukashi mukashi. Leggere, per non sentirsi soli. Una storia buffa.

Tosa Mitsunobu (attivo ca. 1462–1525), Genji monogatari gajō, periodo Momoyama, Kyōto Kokuritsu Hakubutsukan.

Un giocatore d’azzardo aveva un figlio, brutto come nessun altro al mondo: gli occhi e il naso apparivano schiacciati insieme, da un colpo inferto con somma forza. I genitori del giovane disperavano di poter mai riuscire a trovargli moglie, quando arrivò alle loro orecchie la notizia che un uomo, assai facoltoso, cercava uno sposo di bell’aspetto per l’amata figliola. Fecero allora sapere a quel padre che “il giovane più bello del mondo” desiderava sposare la fanciulla.

Il ricco accettò l’offerta e si fissò, secondo i migliori auspici, la data del fidanzamento. La prima notte che i due fidanzati avrebbero dovuto trascorrere insieme,* i famigliari del giocatore d’azzardo, indossati abiti vistosi presi a prestito, scortarono il giovane fino alla casa della fidanzata, avendo ben cura di tener celato nell’ombra il volto: chiara era la luce lunare! Il futuro sposo, fra gli altri, fece un’ottima figura. Fu così che ebbero inizio, come da usanza, le sue visite notturne alla fidanzata.

Arrivò ben presto la temuta notte in cui il giovane avrebbe dovuto trascorrere con la fidanzata non solo le ore notturne ma anche l’alba e il giorno successivo. Imperterriti, i giocatori d’azzardo avevano pronto uno stratagemma. Uno di loro si travestì, salì sopra il soffitto della camera della nuova coppia, calpestò le assi fino a farle scricchiolare e gemere nel modo più sinistro. Poi con voce rombante e terribile gridò: «Dico a voi, giovane più bello del mondo!»

La voce fece raggelare di paura la famiglia, che rammentò le innumerevoli storie di esseri soprannaturali in visita agli umani: e le visite cominciavano, si narrava, proprio in quel modo. Seppur terrorizzato, lo sposo replicò: «Sono io colui che chiamano il più bello al mondo. Cosa volete?»

Per tre volte la voce dall’alto strepitò e per tre volte lo sposo rispose. La famiglia volle sapere perché dava risposta. «Non so come liberarmene ma non so neppure cosa ho detto!» lui spiegò.

Il demone strideva: «Per tre anni ho posseduto la figlia di questa casa e voi ora ve la spassate assieme a lei. Avanti, ditemi, quali sono le vostre intenzioni?» «Ma…ma…”, balbettava lo sposo, “io, non… non saprei… questo non… non lo sapevo. Per pietà, risparmiatemi!» «Siete uno sporco codardo!» sibilò il demone. «Ma prima di andarmene, voglio sapere un’ultima cosa. Cosa avete di più caro, la vita o l’aspetto?» «Come potrei rispondervi?» protestò lo sposo.

I suoceri bisbigliando, gli suggerirono con frenesia di non preoccuparsi del suo aspetto purché avvesse salva la vita: «Su, rispondetegli: la mia vita!» E lui obbedì. «Allora addio.» Subito dopo il demone fece un rumore orrendo, come se aspirasse. Lo sposo emise un urlo, affondò il viso fra le braccia e crollò a terra. Il demone se ne andò, passo dopo passo.

Intanto cosa era mai accaduto al volto dello sposo? Venne portata una torcia e alla sua luce tutti videro che gli occhi e il naso del giovane erano come se fossero schiacciati insieme. «Oh, se solo avessi detto: “Preferisco l’aspetto.”», singhiozzò lo sposo. «Come posso vivere e farmi vedere in giro, con un ceffo simile! Se penso che non mi avete visto neppure come ero…! Cielo, quale tragico errore è stato mai legarmi a una fanciulla reclamata da un orribile demone!»

Commosso dalle lamentele del genero, il ricco gli promise in cambio le sue sostanze. Infatti, con piena soddisfazione del giovane, il suocero lo trattò al meglio e gli donò una casa. La fece costruire appositamente, pensando che l’abitazione già esistente potesse avere un qualche legame con la disgrazia.

Il giovane visse godendo tutti gli agi: una bella vita davvero!

 

Da Uji shūi  monogatari, IX, 8, fine XII sec.

Fonte: Memorie della luna. Storie e leggende dell’antico Giappone,

a cura di Irene Iarocci, Parma, Guanda, 1991, pp.  196-198.

*Secondo l’istituto matrimoniale in vigore in periodo Heian (794-1185) fra le classi elevate, lo tsumadoikon (che prevedeva per la coppia la residenza a casa dei genitori della sposa o in una casa da loro fornita), il futuro sposo avrebbe dovuto trascorrere tre notti insieme alla sposa allontanadosi ogni volta prima dell’alba. Trascorsa l’ultima delle tre notti, all’alba le nozze venivano sancite con il consumo dei mikka no mochi, i “mochi della terza notte”, offerti dai genitori della sposa al neo genero.

 

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Una storia buffa che per l’astuzia del protagonista ricorda l’andamento di alcune novelle del Decamerone. Tempo di pestilenza allora, tempo di epidemia oggi.  Non abbiamo forse diritto anche noi a una piacevole distrazione?