La stagione più propizia agli incontri furtivi degli amanti è l’estate; le notti, allora, sono così corte che all’alba siamo ancora desti e, seduti nella nostra stanza, le cui finestre sono spalancate dalla sera precedente, contempliamo nella fresca brezza del mattino il magnifico spettacolo. E quando, giunta ormai l’ora di lasciarci, indugiamo commossi in un colloquio fatto di trepide domande e tenere risposte, proprio vicino a noi un uccello si leva cantando a gola spiegata e noi sussultiamo, divertiti, come se ci avessero scoperti.
Nelle notti più fredde dell’inverno è meraviglioso starsene rannicchiati sotto le coltri e udire, a un tratto, i lenti rintocchi di una campana, così vibranti che sembrano giungere dalla profondità della stanza. Più tardi si ode anche il gallo che, cantando con il becco affondato nelle penne, ha una voce molto più potente degli altri uccelli. Il suo canto sembra, nell’oscurità, provenire da molto lontano, ma curiosamente, a mano a mano che il cielo si rischiara, diventa sempre più nitido, quasi si avvicinasse.
Sei Shōnagon
Note del guanciale (Makura no sōshi, fine X sec.),
traduzione di Lydia Origlia, SE, Milano, 1988, pp. 67.
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Leggere le note “senza importanza”, fatte “seguendo il pennello” (zuihitsu) di dama Sei è ritrovare lo spirito brillante di una donna che certo sapeva trarre il meglio dalla vita di corte. Che sia languido, malinconico, o francamente divertito, lo sguardo di Sei Shōnagon ci regala impagabili frammenti di vita della società aristocratica di epoca Heian, dipingendo per noi scene che ci vediamo comparire davanti, come un emakimono che si srotola d’improvviso davanti ai nostri occhi incuriositi.