In questa nuova stagione voglio ricordare le donne giapponesi. Un profilo alla settimana. Dedicato a noi.
Le tayū. Una di esse dal primo all’ultimo giorno dell’anno, è talmente richiesta, che la sua casa gode di una prosperità che non ha uguali fin dal tempo degli dei. È un incomparabile modello di cortigiana: non ha bisogno neppure di contemplare il suo aspetto né di acconciarsi i capelli ed è solita rimanere a viso non truccato e a piedi nudi, ha figura esile ma ben tornita, aspetto dolce e sguardo vivido, bella voce, pelle che gareggia col candore della neve, è abile nell’alcova, è famosa per la sua sensualità, ha tanto fascino da poter essere fatale ai clienti, sopporta bene il sake, canta armoniosamente, è una valente suonatrice di koto e di samisen, scrive lunghe lettere con stile elegante, non accetta regali, non è avara, nutre profonde passioni, è famosa per gli accorgimenti con cui incanta gli uomini. Chi è costei?” Tutti e cinque conclusero: “Chi potrebbe essere se non Yūgiri? Si dice che il Giappone sia grande, ma non se ne trova un’altra come lei”, e la lodarono in coro. *
Nel vivido ritratto che ce ne fa Saikaku, Yūgiri è dunque la più celebre tayū di Shinmachi, il quartiere del piacere di Ōsaka.
Ma, innanzi tutto, chi erano le tayū? Se questo termine anticamente era utilizzato presso la corte imperiale per definire i cortigiani di quarto e quinto rango e i massimi cultori delle arti, nel periodo Edo venne utilizzato, più prosaicamente, per indicare il rango più elevato delle cortigiane dei quartieri del piacere. Le tayū (che dal 1760 in poi verranno chiamate oiran, ossia “fiore che primeggia”) erano dunque cortigiane di altissimo rango e vivevano segregate nei quartieri del piacere (aboliti nel 1958), anche se in posizione di assoluto privilegio rispetto alle normali prostitute. Esse eccellevano nelle arti di intrattenimento come la danza, la musica, la calligrafia, la conversazione brillante ma, a differenza delle geisha (“donne d’arte” pagate per intrattenere, con l’esercizio delle loro arti, i clienti durante serate e banchetti), le tayū erano cortigiane nel senso pieno del termine, donne di grande fascino e sensualità.
Erano rarissime: sappiamo ad esempio che nel 1655 a Kyōto se ne contavano 25, a Edo 7, a Ōsaka 11.
Una di esse era proprio Yūgiri, donna dal fascino leggendario ma vissuta realmente dapprima presso la casa di Miyajima Kenzaburō a Shimabara, il quartiere del piacere di Kyōto, e poi nella Ogiya (Casa dei Ventagli) di Shinmachi, a Ōsaka, a cui era stata venduta nel 1672.
Pare che lo stesso Saikaku l’avesse conosciuta e ne conservasse il ritratto con una sua annotazione che la definiva maestra (sui) in tutte le arti.
Certo è che Yūgiri morì troppo giovane, a soli 22 anni, qualche giorno dopo il Capodanno del 1678 e dopo solo un mese dalla sua morte il famosissimo attore del teatro kabuki Sakata Tojurō (metteva in scena un dramma ispirato alla sua figura, Yūgiri nagori no shōgatsu (Addio a Yūgiri alla prima lunazione), inaugurando una fortunatissima serie di drammi tutti ispirati alla sua vita scritti sia dallo stesso Tojurō che da Chikamatsu Monzaemon, sia per il kabuki che per il teatro delle marionette (ningyō jōruri).
Che sappiamo allora di questa donna giovane, dalla vita così breve? Quello che ci racconta la guida al quartiere del piacere, l’Ōsaka Shinmachi saiken no zu miotsukushi, dove scopriamo che Yūgiri aveva escogitato un espediente per intrattenere i molti clienti che l’avevano prenotata e che dovevano attendere anche a lungo prima che si liberasse: l’invenzione delle hikibune (o barche-rimorchiatori), giovani prostitute di rango inferiore che inviava ai clienti nelle varie ageya per alleviarne graziosamente l’attesa.
Sappiamo che era madre premurosa di un unico figlio cui era affezionatissima, sappiamo che morì presto (perché la vita di una cortigiana non era dura, davvero dura) ma che il suo ricordo restò a lungo vivo nella memoria della gente e che furono scritti per lei haiku e drammi. Sappiamo che le sue vicende e il suo amore, forse solo frutto di leggende, per il mercante Izaemon (diseredato per aver dilapidato a Shinmachi grandi ricchezze di famiglia e ridotto alla mendicità) divenne una delle storie teatrali più amate.
Certo è che più di trent’anni dopo la sua morte Chikamatsu componeva in suo ricordo uno dei suoi capolavori, lo Yūgiri Awa no naruto (Yūgiri o i vortici di Awa, dramma in 3 atti, 1712), un dramma a lieto fine in cui per la bella e appassionata tayū l’autore prevede un futuro sereno in compagnia dell’amante Izaemon e del loro figlioletto, con il benestare dei proprietari della Casa dei Ventagli. Il successo del dramma venne garantito da generazioni e generazioni di spettatori contribuendo a mantenere vivo il ricordo di Yūgiri. Perché, scrive Chikamatsu:
Il dolore di Ogiya Yūgiri si è mutato in gioia, gioia che sarà narrata e tramandata per 35, per 50, per 100 anni, e nelle sere nebbiose di autunno, per mille anni ancora, la gente, gomito a gomito, ammirerà lei, Yūgiri, come da infinite generazioni ammira i fiori in primavera. **
*Traduzione di Lydia Origlia. Da: Ihara Saikaku, Vita di un libertino (Kōshoku ichidai otoko, 1682), Guanda, Parma, 1988, pp. 161-162.
** Traduzione di Marcello Muccioli. Da: “Yūgiri e il vortice di Awa” in Marcello Muccioli, Il teatro giapponese. Storia e antologia, Feltrinelli, Milano, 1962, p. 514.