Un waka per febbraio. E un’idea di yūgen.

Il Fuji. Così vicino! Primavera 2009.

花をのみ待つらん人に山里の雪間の草の春を見せばや。

Hana o nomimatsuran hito ni yamazato no yukima no kusa no haru o misebaya.

 

A coloro che aspettano i fiori,

vorrei mostrare le erbe primaverili che si intravedono

sotto la neve in montagna.

                                       Fujiwara no Ietaka (1158-1237)

 

Composto in occasione del Roppyakuban uta’awase 六百番歌合 (Gara poetica in seicento turni), tenutosi nel 1193-94 e sottoposto al giudizio di un unico arbitro, Fujiwara no Shunzei (o Toshinari, 1114-1204).

Questo waka è, secondo me, uno splendido esempio del concetto di yūgen che, teorizzato proprio da Shunzei, informò tutta quella gara poetica.

♦︎♦︎♦︎

Difficile definire un concetto estetico così sfuggente come quello di yūgen, che cambiò, inevitabilmente, nel corso del tempo, con il mutare dei gusti e della società. In breve può essere definito come un concetto estetico tendente ad attribuire alle cose un’apparenza di mistero, di eleganza, di fascino e di tristezza contenuta. Formalizzato proprio dal poeta Fujiwara no Shunzei, fu coltivato da poeti e scrittori fino al XVI sec. Nella poesia waka, lo yūgen vuole che i sentimenti più profondi non siano espressi, ma solo suggeriti per mezzo di allusioni. Forse una delle definizioni più efficaci è quella di Kamo no Chōmei (1155-1216) nel Mumyōshō (Note senza titolo, 1211) :

Quando si sente parlare del cosiddetto yūgen, non si capisce ben che cosa significa. Siccome io stesso non ho approfondito questo argomento, non penso di poterlo definire in modo chiaro e netto. Mi risulta, comunque, che gli intenditori autorevoli in materia si siano riferiti a certi sentimenti non espressi con parole o ad una certa atmosfera suggerita da una visione poco consistente. Faccio un esempio: il cielo serale d’autunno non ha colori ed è dominato dal silenzio. Guardandolo, succede che i nostri occhi si riempiano di lacrime senza motivo e non possiamo spiegarcene il perché, né sappiamo dire dov’è lo yūgen. Chi non se ne intende pensa che in un cielo siffatto non ci sia un bel niente da gustare, ed ammira soltanto fiori di ciliegio e foglie colorate d’autunno che si presentano realmente alla vista. (…) Un altro esempio: quando si guardano montagne autunnali attraverso gli squarci lasciati dal diradarsi delle nebbie, ciò che si vede è indistinto, ma attraente ed allora ci si lascia rapire dalle fantasie, domandandosi fin dove si estendano quei colori autunnali ed ammirando lo splendore di quella veduta immaginata. Le immagini che la mente si crea in tal modo, possiamo allora dirle superiori al paesaggio reale colto dalla vista in tutta la sua nitidezza.