Ritorniamo ad incontrare gli artisti!
Vi invito con piacere a visitare la mostra che si inaugurerà domenica 26 luglio a Fortunago, nel cuore dell’Oltrepò pavese, in uno dei più bei borghi d’Italia:
SALONE DEI CONVEGNI
TEATRO AUDITORIUM “Giovanni Azzaretti”
FORTUNAGO (PAVIA)
DAL 26 LUGLIO AL 13 SETTEMBRE 2020
Inaugurazione domenica 26 luglio 2020, ore 17
LA MOSTRA SI PUO’ VISITARE IL SABATO E LA DOMENICA DALLE 15.30 ALLE 19.30
Negli altri giorni la visita è possibile tramite appuntamento telefonando al 340 6454695.
Qui l’intero comunicato stampa: ComunicatoStampa.Fortunagoinarte2020
Per conoscere la rassegna d’arte e il borgo: http://www.fortunagoinarte.it
“Entrambi gli artisti nelle loro opere generalmente creano una struttura compositiva che evidenzia una trama. La trama è per eccellenza la metafora visiva che svela una percezione del mondo come complessità, in cui ogni cosa è legata a un’altra: tutto tiene in una visione olistica della realtà. Si restituisce questa lettura, questa percezione dei fenomeni quando la composizione pittorica raggiunge un equilibrio visivo di valore estetico. La diversa percezione si evidenzia nel lavoro dei due artisti soprattutto nella ricerca dell’equilibrio compositivo.
In Bellucci si manifesta in modo esplicito la sua attenzione alle culture orientali, giapponese in modo particolare. La ricerca di un raffinato equilibrio nella composizione tra pieni e vuoti, l’ordine come conquista percettiva non come il frutto di razionalità geometriche. L’equilibrio e l’ordine dei segni, delle stesure delle campiture con un uso minimalista del colore, il nero, la scala dei grigi, il rosso svelano un interesse a rappresentare l’attimo in cui l’equilibrio raggiunto attraverso un metodo percettivo deve essere rappresentato nel suo essere sospeso e pertanto sulla tela fissato una volta per tutte. La sua ricerca spazia dall’accumulazione di segni, una sorta di horror vacui, all’estremo opposto, una riduzione di essi ai minimi termini, alla singola linea o alla singola sfumatura, risentendo grandemente in questo dell’influenza estetica giapponese non solo intesa come pittura sumi-e ma anche ispirata all’essenzialità della struttura poetica dello haiku. A contraddistinguere i suoi lavori è l’uso di un sigillo rosso che, secondo la tradizione della calligrafia estremo-orientale, è inserito all’interno dell’opera e ne diviene parte integrante. Il sigillo di pietra, volutamente non inciso con ideogrammi ma lasciato allo stato grezzo con leggeri interventi di bulino, sostituisce così la tradizionale firma dell’artista e diventa una sorta di non-firma, no-logo, di fatto la sua cifra stilistica”.
“Nei lavori di Jelo, la trama diventa invece un territorio in cui tutto vibra, l’equilibrio compositivo è ricercato con ritmi di forme e segni che presentano contorni sfumati, si sovrappongono, vengono immersi in trasparenze e sfumature di colori. L’uso del colore non è minimale ma anzi si va alla ricerca di tinte e toni diversi per ogni opera. La scelta espressiva e linguistica di Jelo infatti si colloca nel campo dell’Astrazione. Perché a suo parere un’opera figurativa, nell’impegno a leggere i contenuti iconogra-fici, rischia di distrarre dal cogliere i reali valori pittorici in essa contenuti; una pittura astratta, invece, porta direttamente ai valori iconologici e comunica con immediatezza emozioni e concetti.
Le sue trame non sono fatte da geometrie nitide, da campiture timbriche. Anzi. La texture viene rimessa in discussione da una vibrazione di luminosità che mette in dubbio la razionalità dell’impianto strutturale in un insieme di segni e di luci e ombre.
Il suo è un segno-gesto che non ha la forza dell’istante che svela, come nell’espressionismo astratto, invece, nella sua ripetitività controllata, appartiene di più ai tempi lunghi della contemplazione lirica.
Sostiene Jelo che a differenza della quantità, la qualità non è misurabile, non esistono protocolli per raggiungerla. La qualità si ottiene nella costante tensione a fare bene, fare a regola d’arte si sarebbe detto una volta” .