Mukashi mukashi. Leggere, per non sentirsi soli. Visite notturne a Heiankyō.

Frammento del Genji monogatari emakimono, XII sec. Nagoya, Tokugawa hakubutsukan.

Gli appartamenti di noi dame al servizio dell’Imperatrice e lo stretto corridoio su cui si affacciano, sono piacevolissimi. D’estate sono molto freschi, giacché lasciamo sollevate le persiane superiori e la brezza può circolare liberamente. D’inverno è divertente vedervi irrompere, sospinte dal vento, folate di neve e di grandine. Lo stretto corridoio è davvero uno spazio angusto, al punto che non vi si potrebbero ospitare bambine perché fanno troppo chiasso, ma noi abbiamo imparato a nasconderle dietro i paraventi, dove se ne stanno zitte e buone come in nessun altro luogo, ad eccezione degli appartamenti dell’Imperatrice. A corte, è inevitabile, si deve stare sempre all’erta, anche durante il giorno. Di notte, poi, non si può veramente godere di un solo istante di tranquillità, essendo sempre in ansia per quanto può accadere, ma questo, in verità, non ci dispiace. Per tutta la notte si odono rumori di passi che vanno e che vengono: a volte si fermano e si sente un bussare delicato con un solo dito sulla porta, quanto basta per riconoscere immediatamente chi sia. Spesso lo si lascia bussare a lungo, evitando il sia pur minimo rumore; ma quando, stanche per la forzata immobilità e certe che se ne sia andato pensando con rassegnazione che eravamo immerse nel sonno, accenniamo a un lieve movimento, il fruscio della veste di seta ci tradisce e lui si accorge dell’inganno. D’inverno basta il rumore delle bacchette di metallo che usiamo per ravvivare il fuoco nel braciere ad avvertirlo che siamo deste in attesa; allora egli bussa con forza e persino ci chiama a voce alta, e allora noi ci avviciniamo alla porta, ancora saldamente chiusa dal chiavistello, e gli chiediamo se non vi sia nessuno fuori che possa vedere. Quando invece si sente un coro di voci cantare, o declamare poesie, egli non ha neppure bisogno di bussare che già abbiamo aperto la porta, trovandoci in alcuni casi dinanzi una persona diversa da quella che attendevamo.

Divertente è, infine, immaginare quel poverino, cui non si è aperto, starsene fuori della porta in attesa per tutta la notte: indossa una sottoveste dagli sgargianti colori, del ricercato tipo di seta che si usa per le cortine, con le falde che sembrano rimboccate, e un’elegante veste qua e là volutamente scucita, se è un nobile, oppure una veste celeste, se è un guardarobiere. Non potendo rimanere impudentemente appoggiato alla porta, sta ritto in piedi accanto alla parete, lisciandosi con noncuranza le maniche. Indubbiamente bello a vedersi è un giovane nobile che, elegantissimo negli scuri e ampi pantaloni, nella veste sgargiante e nelle molteplici sottovesti di vario colore con i lembi lasciati volutamente apparire, scosti con la spalla le tende, nel varcarle; è anche piacevole vedere lo stesso giovane aprire una preziosa scatola per la scrittura e accingersi a scrivere una lettera, oppure, guardandosi in un piccolo specchio avuto in prestito, riordinarsi i capelli e le pieghe della veste. Negli appartamenti delle dame si trova sempre un paravento e, tra questo e la tenda sovrastante, c’è una piccola apertura che permette all’uomo che sta in piedi al di fuori, chinandosi, e alla dama che è seduta all’interno di conversare guardandosi in volto. Naturalmente ciò non è agevole se si è troppo alti o troppo piccoli. Ma per chi abbia una statura normale questa apertura è realmente una fonte di delizia!

Sei Shōnagon

Note del guanciale (Makura no sōshi, fine X sec.), traduzione di Lydia Origlia, SE, Milano, 1988, pp. 69-70.

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Le note “seguendo il pennello” di dama Sei Shōnagon tracciano un vivido e gustoso ritratto della vita all’interno degli spazi ristretti della residenza imperiale di periodo Heian (794-1185). È il racconto di riti, cerimonie, gesti della quotidianità di una piccola comunità di persone, quella della corte, isolata e ripiegata su se stessa. Tutto avviene all’interno degli spazi condivisi dai kumo no uebito, gli “abitanti delle nuvole”, come erano definiti i cortigiani. Con le note di  Sei Shōnagon possiamo riscoprire il piacere della lettura di un classico che, per parafrasare Italo Calvino, non smette di riservarci delle piacevoli scoperte.