Cronache di un Giappone passato. Viaggio di un uomo. Rileggendo Nicolas Bouvier.

 

Un angolo nascosto, ricordo di un'estate giapponese. Quella del 1999?

Riprendo in mano le cronache giapponesi del viaggiatore, iconografo, intellettuale svizzero Nicolas Bouvier (1929-1998). La sua capacità di evocare incontri e luoghi, la sua empatia, il suo sguardo partecipe ma mai compiaciuto, mai condiscendente, possono ancora insegnarci a vedere, a viaggiare, a metterci in cammino per incontrare altri esseri umani.

Qualche pagina la ruberò alla raccolta di suoi scritti uscita in italiano per i tipi di Diabasis alcuni anni fa: Il suono di una mano sola.

 

 Tokyo, ottobre 1955 

…Siamo inginocchiati uno di fronte all’altro davanti a un tavolino basso nella loro unica camera. Sto scrivendo un articolo che mi ha procacciato ieri pomeriggio e che dobbiamo consegnare domani. Lui traduce, su un pezzo di carta suddivisa in 400 rettangoli – uno per ogni ideogramma – i fogli che man mano gli passo. È l’ultima pagina. È l’alba, abbiamo lavorato tutta la notte, parlando a voce bassa perché sua moglie e sua figlia dormono sulla stuoia accanto a noi. Dopo aver servito la cena sono uscite al bagno pubblico, rientrando con i capelli ancora umidi. “Oyasumi nasai – dormite bene”. Eccole ben al caldo sotto il piumone, frizionate come puledre; sognando si agitano, i loro piedi toccano i nostri. La piccola è uno splendore di sette anni con lunghe gambe grassottelle e sode, che disegna con pennarelli fluorescenti delle mele in stile Cézanne. La madre ha un volto liscio da fantasma, una splendida capigliatura che le arriva ai fianchi, e un’allegria contenuta: la sua sua presenza è un piacere, è la principessa Oku. Yuji ci si stira ridendo mentre l’alba dipinge di viola i cavoli che spuntano a ranghi serrati sotto la finestra aperta. Prima di andare al lavoro nostri vicini, ancora intrisi di sonno, spargono sui loro orticelli il contenuto delle latrine. Lui è un ometto secco e musicale, trasparente come un fiocco di neve. Ha uno sguardo da erotomane che si diverte e danza, con la leggerezza spettrale e inquietante di chi sia passato attraverso il fuoco. Quando incontriamo un essere realmente libero ci sentiamo all’improvviso stupidi, con i nostri viaggi e nostri progetti…

… Siamo andati a consegnare la copia col primo treno. Mejiro, Akihabara, Yotsuya, Akabane… A Tokyo la vita si esprime in lessico ferroviario. Piccole stazioni del metrò o della “Chuo line”, alti lampioni sulle giovani foglie. L’ultimo treno che se ne va, la musica di un paio di zoccoli di legno che diminuisce allontanandosi, lo zufolo straziante – tre note – del venditore di minestra calda. Carretti di ambulanti parcheggiati per la notte sul binario. Persone umili, piccoli debiti dimenticati e ritrovati: il mondo dickensiano trasposto in Giappone, con un’ineffabile dolcezza in più. Oltre le luci, qualche albero immerso nella notte i cui rami muovono i ricordi, gli incontri, le menzogne e i rimpianti. Visi stravolti incollati ai vetri appannati. Stazioni poste come una costellazione sulla città e che si sgranano nel buio come rosari…

Nicolas  Bouvier

 

  • Da Il suono di una mano sola. Cronache giapponesi, tr. di Paola Olivi e Beppe Sebaste, Reggio Emilia: Diabasis, 1999 (Chronique japonaise, Losanna: Payot 1975).
La casa del ferroviere. Sapporo, 2001.