Arrivò l’inverno. Una sera, dopo una giornata di pioggia incessante, si levò un vento violento che spazzò via tutte le nuvole. Nel cielo sereno brillava la luna e le foglie di ogi vicino al tetto si piegavano al vento che le scuoteva. Commossa da quella vista recitai:
Cosa mai penseranno
Della frescura dell’autunno
le foglie secche di ogi
tormentate dalla tempesta
nel cuore dell’inverno?
(Aki o ikani / omoiizuramu / fuyu fukami / arashi ni madou / ogi no kare ha wa.)
Un servo mi portò una lettera di mio padre dalle province orientali:
«In occasione del pellegrinaggio per pregare le divinità dei santuari, ho attraversato a piedi la provincia di Hitachi e tra i campi che si stendevano a perdita d’occhio, bagnati da un fiume delizioso, ho visto un bel bosco che avrei tanto voluto mostrarti. Mi sono ricordato di te, e quando ho chiesto come si chiamasse, mi è stato detto che era “Il bosco del figlio rimpianto”. Ho notato subito una chiara somiglianza con la mia situazione e, assalito dalla tristezza, sono sceso da cavallo per restare lì a lungo, assorto nei miei pensieri:
Qualcuno come me
si sarà ricordato
del figlio abbandonato
nel “bosco del figlio rimpianto”
la cui sola vista mi addolora».
(Todome okite / waga goto mono ya / omoikemu / miru ni kanashiki / koshinobi no mori.)
Inutile è descrivere cosa provai quando lessi quella lettera. La mia risposta fu:
Sentendo parlare
del “bosco del figlio rimpianto”,
soffro per mio padre
che mi ha abbandonata
per andare nelle province orientali.
(Koshinobi o / kiku ni tsukete mo / todomeokishi / chichibu no yama no / tsuraki azumaji.)
Me ne restavo immersa nei miei pensieri, senza far nulla di particolare, e mi chiedevo perché negli ultimi tempi non avessimo fatto dei pellegrinaggi.
Mia madre, che era una donna all’antica, diceva: «Ho paura di andare al tempio di Hasedera. Se a Narazaka ci rapiscono i briganti, come facciamo? Mi spaventa molto anche l’idea di dover attraversare il monte della barriera di Osaka per andare al tempio di Ishiyamadera. Per non parlare poi delle montagne che ci sono nei dintorni di Kurama! Quando ritornerà tuo padre, ci andremo».
Non mi dava retta, trovando sempre un sacco di difficoltà, ma poi finalmente mi accompagnò a fare un ritiro al Kiyomizudera. Anche in quell’occasione, come era mio solito, non ebbi voglia di pregare per la mia esistenza futura o per altre questioni importanti.
A causa delle celebrazioni per l’equinozio nel tempio c’era una confusione che faceva quasi paura. Quando mi appisolai un po’, all’interno del recinto, vicino alla tenda che copriva il sacello con l’immagine sacra, comparve un monaco che indossava una veste di seta verde operata, con un copricapo e delle calzature di magnifico broccato. Aveva tutta l’aria di essere l’abate del tempio, e avvicinatosi a me, mormorò seccato: «Ignara delle sofferenze che vi riserva la vostra vita futura, non fate altro che preoccuparvi di sciocchezze!» E poi scomparve dietro la tenda.
Quando mi svegliai non dissi a nessuno che avevo fatto quel sogno e, senza darvi alcuna importanza, me ne andai via.
Dama di Sarashina
(XI sec.)
Da Le memorie della dama di Sarashina (Sarashina nikki), traduzione di Carolina Negri, Marsilio, Venezia, 2005.
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Leggere o rileggere i classici aiuta a star bene. In questi giorni di isolamento, di inattività forzata, vorrei leggere virtualmente insieme a voi queste pagine per continuare a tenere ben stretti i nostri legami d’affetto.