Haru nikki. Diario di primavera. 5.

Una dietro l’altra, una serie di giornate perfette si inanellano. Come una splendida collana.

Oggi felicità è incontrare una vecchia, carissima amica, visitare un tempio, il Kōsanji, incastonato fra le montagne sopra Kyōto e – per nostra grande fortuna, sconosciuto ai turisti (siamo gli unici visitatori).

Felicità è bere un tè matcha accanto alla più antica piantagione di tè del Giappone, mangiare una gustosissima specialità (kawarasoba, ossia soba e altri ingredienti cucinati su una tegola a mo’ di piastra) in un ristorante tutto per noi sulla riva di un fiume. Sentirsi come una dama di corte in ritiro su una montagna, fra alberi antichi dalle cime che toccano il cielo.

Ci sfiniamo salendo scalinate che sembrano interminabili e ci portano su su, verso il cuore della foresta, l’oku, il fondo scuro e insondabile. E se giungerà un tengu, pazienza, vorrà dire che ci caricherà sulle sue ali per aiutarci nell’ardua discesa.

Kyōto, il mondo, sembrano così lontani e invece sono a un’ora di autobus ma pare che nessuno lo sappia. Non oggi, almeno. Eppure, camminando e costeggiando la riva del fiume incassato nella stretta valle, gli aceri dalle chiome ondeggianti di giovane verde ci dicono un’altra storia. Quando saranno rossi, allora sì, le folle arriveranno. Nel tempo dell’autunno su queste scalinate si sentirà rumore di passi e chiacchiere.

Per ora basta la nostra presenza, i discorsi del ritrovarsi dopo un anno e avere tante cose da raccontarsi, le nostre considerazioni sulla quotidianità, su ciò che siamo. Sulla bellezza che ci circonda.

Una bellezza che dobbiamo a un monaco straordinario, Myōe, che amava la natura e le persone, che è vissuto negli stessi anni di San Francesco – tutto questo ce lo racconta il monaco che giunge mentre beviamo il tè e sentendoci chiacchierare in italiano ci parla del suo viaggio ad Assisi, degli scambi fra questo tempio e il convento di San Francesco. Degli aiuti portati in occasione del terremoto che aveva colpito la basilica. Con semplicità ci rivela un senso di affratellamento. Com’è lontano, meglio, come sembrano lontani il mondo e le sue disperazioni.

Riprendiamo il cammino nella foresta e non vorremmo, no, non vorremmo proprio abbandonare gli alberi, il muschio, le lanterne di pietra e questi interminabili gradini.