Mukashi mukashi. Leggere, per non sentirsi soli. Ancora una storia buffa.

Scuola Tosa, Scena dal Genji monogatari, 1624 circa.

Durante il regno dell’imperatore Murakami (962-967), era Grande Ufficiale della Capitale di Sinistra il nobile…, figlio del fratellastro del regnante.*

Esile e alto, il Grande Ufficiale era sempre abbigliato con la più raffinata eleganza, tuttavia il suo modo di essere e il portamento rimanevano irrimediabilmente divertenti. La testa, dalla forma allungata, ricordava una staffa; di conseguenza, quando calzava il berretto di alto dignitario, il fiocco non gli toccava affatto il dorso, bensì sballonzolava a ragguardevole distanza. Il grande Ufficiale aveva un colorito verdognolo, tale da sembrare uscito da una tintura al fiore di commelina; nerastre le palpebre, mentre il naso, lucente e prominente, rosseggiava al di sopra di labbra sottili e incolori che, nel sorriso, scoprivano il rosso delle gengiva sui denti sporgenti. La voce, dai toni acuti, era nasale. Bastava quindi che il Grande Ufficiale aprisse bocca perché la sua voce risuonasse per tutta la Sala. Che dire poi del portamento? Camminava dondolando il busto, dondolando il posteriore.

Il nostro personaggio era annoverato tra gli alti dignitari ammessi alla Sala augusta. Per il suo colorito spiccatamente verdognolo, gli avevano coniato il nomignolo di Messer Sempreverde (Aotsune no kimi), appellativo accompagnato dalle risatine di tutti. Fra i colleghi della Sala, ve ne erano alcuni, in particolare, giovani, arditi e fanfaroni. Costoro mettevano ancor più in ridicolo, ridendo senza fine e giungendo a forme caricaturali di dubbio gusto, alcuni atteggiamenti propri del personaggio preso di mira.

Alla fine l’imperatore, stanco di udire allusioni e di assistere a tante forme di sarcasmo, un giorno disse: «Siamo dell’idea che sia del tutto fuor di luogo che i giovani della Sala augusta ridano fuor di misura della persona che sappiamo. Se il Principe suo padre ne venisse a conoscenza, e nel contempo sapesse che noi non abbiamo opportunamente difeso il figlio, è con noi che se la prenderebbe!» Sua Maestà aveva espresso ben chiaro il proprio malcontento. Ai cortigiani della Sala augusta non rimase che tenersi dentro il rammarico di non poter più esternare il loro divertimento. Finirono con lo stringere il patto di non ridere più del messere, giurando:

«Poiché Sua Maestà l’Imperatore ha espresso la Sua disapprovazione, a partire da questo momento e per sempre poniamo fine all’abitudine di usare l’appellativo Sempreverde. A colui che pronuncerà ancora questa parola pur avendo aderito al giuramento, verrà imposto di pagare un’ammenda che consisterà nell’offrire sake, spuntini, frutta e altro».

Non era ancora trascorso molto tempo che il ministro Kanemichi di Horikawa […] vide da dietro la ben nota e dinoccolata figura che si allontanava e subito esclamò, imprudente: «Dov’è che se ne sta andando il nostro amico Sempreverde?» Gli altri cortigiani della Sala lo udirono e protestarono concordi: «Non si può certo rompere impunemente un giuramento! Valgano dunque le sanzioni già stabilite: il ministro Kanemichi, in tempi brevi e senza indugi, faccia venire sake, spuntini, frutta».

Tutti si erano raggruppati intorno al buontempone […] che, per essere lasciato in pace e per liberarsi dall’accerchiamento di cui era vittima, promise: «E va bene! Se le cose stanno davvero così, non più tardi di dopodomani pagherò l’ammenda per aver pronunziato l’appellativo da noi messo al bando. Quel giorno voi tutti siete pregati di essere presenti!»

Venne il giorno preannunciato. All’idea che il ministro avrebbe pagato la famosa ammenda legata al famigerato nomignolo, tutti i cortigiani della Sala augusta non stavano più nella pelle […]

Ed ecco fare il suo ingresso il ministro Kanemichi, in costume di corte: sembrava risplendere di luce riflessa, avanzava con grazia maliosa, diffondendo attorno essenze soavi. La vaporosa magnificenza della sua tunica lasciava intravedere l’abbigliamento sottostante: verde, e così pure i pantaloni a sbuffo!

Tutte e quattro le sue guardie del corpo avanzavano in costume da caccia, pantaloni larghi e sopravveste rigorosamente e solo verdi! Uno dei quattro portava, su un vassoio di color smeraldo, dei kokuwa (bacche di color verde mare) sistemati su piatti di porcellana verde pallido. Un altro recava una giara di porcellana verde, contenente sake, dal collo rivestito di fine carta verdina! Un terzo portava un giovane ramo di bambù su cui erano posati cinque o sei uccelletti verdi. Entrando dall’ingresso esterno della Sala augusta, i cinque sfilarono con ordine. Giunti dinanzi alla Sala, furono accolti dall’incontenibile, corale risata dei cortigiani presenti!

Proprio allora Sua Maestà l’Imperatore domandò: «Cosa avviene di tanto divertente?». Una dama di corte rispose: «Vostra Maestà, si tratta di Kanemichi che sta pagando l’ammenda prevista per chi avesse pronunciato ancora l’appellativo messo al bando. È per questo che di là si ride.». […]

Il Sovrano si affrettò a raggiungere la Sala. […] Vide Kanemichi lì, fermo alla testa del suo seguito, vestiti tutti e solo di verde: le vivande, poi, non erano che di quel colore! La scena giustificava tanta ilarità! Quella trovata, l’Imperatore la trovò irresistibilmente comica. E dovette anche lui ridere, ridere, ridere!

Da allora il Sovrano si astenne dall’esprime disapprovazione per fatti simili e Messer Sempreverde si ritrovò così suo malgrado legato per sempre al suo nomignolo!

 

Da Konjaku monogatari-shū (XIII sec.), XXVIII, 21,

Fonte: Memorie della luna. Storie e leggende dell’antico Giappone,

a cura di Irene Iarocci, Parma, Guanda, 1991, pp.  196-198.

*Si tratta di Minamoto no Kunimasa, di lignaggio imperiale: suo padre era il principe Shigeakira, fratellastro dell’imperatore. Era stato declassato e il suo grado inferiore all’interno della corte era evidente dal colore verde delle vesti, appannaggio del suo status, il minimo consentito per avere accesso alla Sala augusta, luogo di incontro degli alti dignitari.

 

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Scelgo ancora una novella, questa volta dalla celebre raccolta Konjaku monogatari (Raccolta di racconti di un tempo), per distrarci in questi giorni di clausura e di ansia. Leggere i classici può aiutarci a vivere meglio il presente, a prenderci una pausa dalla nostra difficile quotidianità. E  a sperare il meglio per tutti.