Hyakunin isshu. Cento poesie per cento poeti. 15.

Utagawa Kuniyoshi, Kōkō Tennō (no. 15), dalla serie Hyakunin isshu no uchi, 1842.

君がため

春の野に出でて

若菜つむ

わが衣手に 

雪はふりつつ

 

Kimi ga tame 
Haru no no ni idete 
Wakana tsumu 
Waga koromode ni 
Yuki wa furi tsutsu

Kōkō tennō

(830-887)

È per te che vado Per te raccolgo  Per te
per i campi di primavera i campi a primavera mi reco nei campi primaverili
a coglier piante tenere, per te erba tenera a raccogliere teneri germogli
mentre sulle maniche del mio vestito mentre sulle mie maniche mentre sulle mie maniche
la neve cade, cade, cade. la neve cade e cade. incessante cade la neve.
Tr. di Marcello Muccioli Tr.  Nicoletta Spadavecchia Tr. di Andrea Maurizi

 

Fonte per il testo giapponese:

Japanese Text Initiative della University of Virginia Library.

Le traduzioni sono tratte da:

Marcello Muccioli (a cura di), La Centuria poetica.

Nicoletta Spadavecchia, Michelangelo Coviello (a cura di), Fujiwara Teika. Tanka. Antologia della poesia classica giapponese, Milano, Corpo 10, 1990.

Andrea Maurizi, Poesie di cento poeti in Virginia Sica, Francesca Tabarelli de Fatis (a cura di), Lo spirito giovane della calligrafia classica. Personale di Kataoka Shikō, Trento, Go Book, 2006.

☛ Ho scelto queste traduzioni e non altre, che pure esistono, perché già nella mia disponibilità.

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L’immagine che ho scelto per illustrare il waka n°15 è di Utagawa Kuniyoshi (1797-1861), artista del tardo periodo Edo la cui sensibilità è, inevitabilmente, molto diversa da quella che ha dato origine al componimento poetico dell’imperatore Kōkō, figlio dell’imperatore Ninmyō.

E in questa immagine, ecco cosa vedo.

La stampa è immersa nell’atmosfera di particolare luminosità di una giornata nevosa. Sullo sfondo, diviso a metà dal profilo diagonale delle montagne, il cielo è di un grigio cupo, quasi notturno, mentre i fianchi delle alture sono una massa bianca lievemente punteggiata qua e là da screziature scure.

In primo piano è un piccolo gruppo di persone da cui emerge la figura colorata e monumentale dell’imperatore poeta, abbigliato nel costume formale di corte di stoffe preziose e finemente decorate, il capo ricoperto dall’eboshi e gli alti calzari immersi nella neve. Riparato da un alto ombrello retto da un servitore a piedi nudi nella neve, il poeta si volge, forse a incitare il suo giovane attendente che, poco lontano, sembra infreddolito e immerso nei suoi pensieri, le mani riparate nelle maniche della casacca rossa raccolta sui pantaloni blu rimboccati per non farli bagnare, le gambe sbiancate dal freddo e i piedi nascosti dalla neve. Il giovane indossa, per proteggersi, un ampio copricapo ormai imbiancato, così come i tre servitori che accompagnano il poeta le cui sopravvesti bianche e svolazzanti, lasciano intravedere ancora qualcosa delle stoffe colorate sottostanti. Uno di essi reca un cesto, forse proprio per raccogliere le tenere erbe cui fa cenno il waka ma di cui non sembra esserci traccia nel panorama che circonda il gruppo. Sul cesto si è invece ammonticchiata la neve.

In primo piano le orme degli uomini a piedi nudi e le tracce degli alti geta del poeta si mescolano sulla coltre immobile. Sembra di percepire il silenzio che avvolge i personaggi, alla ricerca di una primavera ancora lontana.