Verso Kōbe.
Da Nara a Ōsaka in treno, scopro che i colori dell’autunno sono milioni. Non lo sapevo. Ma attraversando campi di covoni raggruppati, paesaggi in cui spiccano gli alberi di kaki, dai rami nudi di foglie e carichi di frutti colorati, e gli aranci, chini sotto il peso di globi giganteschi e gialli, le siepi di camelie dall’intenso rosso, ecco, sì, solo ora me ne rendo conto. L’autunno si dispiega davanti ai nostri occhi, in una giornata soleggiata che sembra di fine estate.
Arriveremo a Kōbe, perché è “shichigosan”, la festa delle bambine di 3 e 7 anni, dei maschietti di 5. All’Ikuta jinja i bambini sfoggiano i kimono più belli. Una bimba indossa quello che aveva indossato sua mamma alla sua età per la stessa occasione. E’ la nonna a raccontarcelo con orgoglio e ce la spinge davanti per la foto.
Altri si sottomettono di buon grado alle foto di rito e a quelle un po’ meno rituali della straniera dai capelli bizzarri che forse li inquieta un po’. Ma alla fine sorridono impettiti davanti all’obiettivo. Mentre tutto attorno è un movimento di miko in hakama rossi indaffarate a vendere giocattoli, omamori portafortuna, a dare indicazioni, mentre un pupazzo enorme saluta i bambini e li invita a percuotere un enorme tamburo: è di buon augurio, e inoltre è divertente e chi ci prende gusto poi fa fatica a staccarsi, tocca alla mamma o alla nonna intervenire.
Un pasto veloce al Muji café (“ma davvero non c’è in Italia?” mi chiede la mamma dell’amica) – legno chiaro e gusto scandinavo di linee e cromatismo – e poi via, verso il parco Meriken, verso il mare, attraversando i viali eleganti e nel rutilare delle foglie abbondanti che li ricoprono. Visiteremo la Biennale d’arte in riva al mare, tutti insieme.
Accanto, proprio accanto, è la torre del porto e quando cade la sera e le luci sfavillano non c’è niente di meglio che salire e ammirare la bellezza di questo paesaggio. Navi da crociera dal profilo illuminato solcano le acque scure cariche di riflessi e tutto attorno brilla la città.
Kōbe, ferita e subito guarita, orgogliosa e ricostruita, non dimentica. Parte del porto resta inabissata, i lampioni caduti, a perenne ricordo del terremoto. Ma Kōbe è rinata. Certo, potrebbe essere Genova – il profilo del monte Rokko alle spalle, con le sue stazioni termali a portata di mano e, davanti, la sopraelevata, che corre parallela al mare. Potrebbe essere Genova, ma non lo è. La sua eleganza è assoluta, non si discute. Il suo stile è inconfondibile. Ogni volta Kobe ci sorprende e ci incanta.
La ritroveremo fra qualche giorno, quando le luminarie di dicembre ce la riveleranno ancora nuova, ancora bella.
Alla cara Chie Oshima.