Il Genji monogatari è stato nel corso dei secoli fonte inesauribile di ispirazione per artisti e letterati, anche insospettabili. Persino l’austero Kenkō (1283-1350), monaco buddhista e fine letterato, cedette al fascino del capolavoro di Murasaki e ne riprese le atmosfere e le situazioni in questa celebre pagina del suo Tsurezuregusa.
Un tale, avendo in animo di visitare una donna che durante un’assenza forzata dalla corte viveva tutta sola in un alloggio in rovina, annoiata dalla compagnia dei propri domestici, andò segretamente in cerca della sua abitazione al lume della luna crescente. I cani della dama, diffidenti verso l’intruso, gli abbaiarono furiosamente contro, e una sguattera venne fuori a domandargli: “Chi siete, di grazia?”. L’uomo la persuase a farlo entrare senza indugi. Al primo sguardo, l’aspetto desolato del luogo gli fece compiangere la dama, ed egli si stupì che lei potesse vivere in un posto simile.
Attese per un poco, in piedi sull’assito incrostato di sudiciume, poi comparve una cameriera che gli si rivolse con voce sommessa ma giovanile: “Da questa parte, prego “. Egli entrò in casa varcando una porta che scorreva a fatica.
L’interno della casa non era particolarmente tetro; aveva anzi un certo fascino. Una lampada brillava tenue in lontananza, diffondendo un chiarore sufficiente a rivelare la bellezza del mobilio, e un incenso che bruciava senza dubbio da molto tempo rendeva il luogo molto accogliente.
“Assicuratevi che il cancello sia ben chiuso. Temo che pioverà. Mettete la sua carrozza sotto la tettoia del cancello, e guardate voi dove si può alloggiare il suo seguito” disse una voce. Poi qualcuno mormorò:
“Stanotte sembra che dormiremo tranquille”. La donna aveva parlato sommessamente per non farsi udire, ma la stanza era così piccola che lui riuscì ad afferrare le sue parole.
Più tardi, mentre il gentiluomo raccontava per filo e per segno tutto ciò che era successo durante l’assenza della dama, si udirono nella notte i primi canti dei galli. E mentre i due rievocavano il passato e facevano progetti per il futuro, il canto dei galli divenne più forte e insistente, ed egli si domandò se non fosse gia l’alba; ma poiché quello non sembrava un luogo da cui ci si dovesse allontanare in fretta e furia nel cuor della notte, si trattenne ancora un poco. Quando infine le fessure tra le imposte si sbiancarono, egli si congedò da lei mormorandole parole di tenerezza che non furono più dimenticate, e si accinse a partire. Era un’alba di maggio, e in quel chiarore le cime degli alberi e il giardino si rivelavano in un’abbagliante massa di verde.
Ancora oggi egli ricorda l’incantevole fascino di quello spettacolo, e quando passa davanti alla casa si volge più volte a contemplare, finché riesce a scorgerlo, l’alto albero di alloro.
Kenkō, Momenti d’ozio (Tsurezuregusa), Milano, Adelphi, pp. 102 e 103. Traduzione dall’edizione inglese di Adriana Motti.