Hagiwara si recò al tempio. «Vi pregherei di far avere questa missiva all’Abate superiore Ryōseki», chiese il giovane all’ingresso. Il religioso, trattandosi di un messaggio di un suo caro amico, appena lo lesse fece subito accomodare Hagiwara. Indossava una veste marrone sopra un’altra bianca, ed era seduto in maniera molto composta su un cuscino di cotone; era un monaco famoso, di cinquantun’anni, di grande virtù e profonda devozione. Il visitatore si inchinò con rispetto.
«Sei tu Hagiwara Shinzaburō?»
«Sì, sono io, un modesto rōnin. Come vi ha scritto il maestro Hakuōdō, sono in preda alla disperazione perché per una qualche ragione di causa ed effetto sono tormentato da uno spirito. Vi supplico di utilizzare la vostra illustre sapienza per allontanarlo».
«Avvicinati. Nella lettera è scritto che sono comparsi sul tuo volto i segni della morte; vieni qui, voglio guardare di persona. Perbacco! Sei davvero prossimo alla fine!»
«Vi prego, trovate un rimedio per non farmi morire».
«Mi dispiace dovertelo dire, ma il tuo karma è molto pesante. Sappi che lo spirito che ti assilla non lo fa per rancore, è profondamente innamorato, e sarà da tre, quattro o più generazioni che per amore rimane avvinghiato a te, morendo e rinascendo in più forme. Il tuo è un karma avverso dal quale è difficile fuggire o allontanarsi; posso solo prestarti questo potente talismano, la statuetta di Kaion Nyorai, per cacciare via i fantasmi. Nei frattempo celebrerò anch’io dei riti in onore degli spiriti defunti, ma fai attenzione: se qualcuno si accorge che l’oggetto che ti protegge è d’oro massiccio, te lo ruberà! È alto circa tredici centimetri e ha un certo peso, quindi una persona avida potrebbe sottrartelo attratto dall’idea di farci un bel po’ di soldi riducendolo in polvere. Ti consegno anche la custodia, che potrai legare alla vita o al collo. Poi, ti regalerò anche questo sutra, lo Uhōdarani, che dovrai declamare ad alta voce. (Come dice il titolo, si tratta della scrittura sacra “che fa piovere gemme preziose”, ma ciò non vuol dire lo si debba recitare spinti dall’avidità di veder cadere tesori. Il senso è che se lo si legge con fede, discenderà tra gli uomini il bodhisattva Kaion. Si narra che questo sutra abbia tratto origine dall’episodio di un proprietario terriero, Myōgetsu, il quale avrebbe voluto donare dei soldi ai poveri per aiutarli durante una grave epidemia; non avendo però molte ricchezze, le aveva chieste in prestito alle divinità buddhiste, e Sākyamuni, apprezzando la sua intenzione, gliele aveva concesse. Ti donerò inoltre delle strisce sacre da appendere in vari punti della casa in modo che i fantasmi non possano entrare da nessuna parte. Mi raccomando, non trascurare il sutra».
Hagiwara lo ringraziò profondamente per le gentili parole e tornò a casa. Riferì al maestro Hakuōdō quanto gli era stato detto, e con il suo aiuto mise ovunque nella casa le strisce sacre. Sistemò quindi la zanzariera, vi entrò dentro e provò a leggere il sutra che gli era stato dato, pur se gli risultava quasi impossibile: «Nōbobagyabateibazaradara. Sagyaranirigushaya, tatagyataya. Taniyataonsorobei. Handarabachi. Bōgyareishareiashaharei», erano frasi che gli apparivano incomprensibili come deliri di uno straniero! Trascorse del tempo fin quando la campana di Ueno, al laghetto di Shinobugaoka, batté le due di notte e si sentì il rumore dell’acqua della sorgente di Mukōgaoka.
Simile al triste e malinconico sibilo del vento che soffia sulla montagna in autunno e fa scendere il silenzio sul mondo, dalla zona di Shimizu a Nezu, come ogni sera, salì forte il rumore di passi: karan koron karan koron.
«Eccole, sono arrivate!» pensò Shinzaburō, rannicchiandosi per la paura. Il sudore cominciò a rigargli copioso il volto dalla fronte fino al mento, e mentre con tutto l’impegno possibile recitava il sutra Uhōdarani, il rumore dei geta si interruppe d’improvviso in prossimità del recinto.
Rassicurato dalla pausa, uscì dalla zanzariera continuando a salmodiare le scritture e andò a sbirciare silenziosamente tra le fessure della porta. Anche quella volta Oyone, con la lanterna decorata con fiori di peonia, precedeva la ragazza dai capelli sistemati nella pettinatura alta alla Shimada, un kimono a maniche lunghe tinto con una fantasia autunnale, con un sottokimono lungo di seta crespata rosso acceso, che sembrava quasi incandescente. Non gli sembrò più soltanto bella, ma affascinante e spaventosa. Al solo pensiero che si trattasse di fantasmi, soffriva come se dalla terra fosse precipitato nell’inferno infuocato. Trovando la casa di Hagiwara protetta da tante strisce sacre, i due fantasmi, con aria esitante, indietreggiarono,
«Mia signora, è impossibile entrare. Il signor Hagiwara ha cambiato i suoi sentimenti, e dimenticando la promessa ha sbarrato le porte per ostacolare la vostra visita. Vi prego di rassegnarvi, non possiamo fare niente. Colui che non nutre più l’amore di un tempo non ha nessuna intenzione di accogliervi. Lasciate perdere un uomo dal cuore così corrotto», cercava di consolarla Oyone.
«Eppure la promessa sembrava sincera, ma stasera mi impedisce di varcare la sua soglia. Come il cielo autunnale, il suo cuore di uomo è mutato velocemente, è davvero crudele! Oyone, ti prego, fa’ in modo che io possa incontrarlo! Se non lo rivedo, non andrò mai via!» e portandosi al volto la manica del kimono, si disperava in un pianto a dirotto. Era bella ma altrettanto terrificante, pensava Shinzaburō mentre non faceva che pregare: «Namu Amida Butsu, Namu Amida Butsu».*
«Mia signora, voi siete così innamorata, ma Hagiwara non sembra corrispondere i vostri sentimenti. Proviamo a vedere se possiamo entrare dalla porta secondaria. Venite da questa parte».
Oyone prese per mano Otsuyu per condurla sul retro della casa, ma naturalmente non fu loro possibile entrare.
San’yūtei Enchō
(1839-1900)
Traduzione di Matilde Mastrangelo.
Da: La lanterna delle peonie. Storia di fantasmi (Kaidan botandōrō, 1884),
a cura di M. Mastrangelo, Venezia, Marsilio, 2012, pp. 114-117.
*”Rendo omaggio al nome di Amida” è una formula di rifugio, una giaculatoria di invocazione per i fedeli del Buddha Amida.
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San’yūtei Enchō fu un celebre declamatore di periodo Meiji, un narratore orale che animava i suoi racconti, nei piccoli di teatri di Tōkyō, utilizzando la mimica e una particolare modulazione della voce ma nessuna scenografia, secondo lo stile tipico di queste forme di teatro popolare che venivano proposte da un unico performer e che vanno sotto il nome di rakugo. Utilizzando un repertorio vastissimo che spaziava dalle antiche storie di fantasmi di origine cinese, come questa della “Lanterna delle peonie”, a episodi di cronaca e di attualità rivisitati in chiave umoristica, i declamatori intrattenevano con maestria il pubblico popolare catturandone l’attenzione dall’inizio alla fine del racconto, attraverso espedienti inanellati con un gioco di intreccio in cui più storie si incastravano perfettamente. La trascrizione di uno dei più celebri monologhi di San’yūtei Enchō, di cui qui propongo una pagina, ne è un mirabile esempio.