Hyakunin isshu. Cento poesie per cento poeti. 2.

Utagawa Kuniyoshi (1797-1861). Dalla serie Hyakunin isshu no uchi (1840-42). 1. L’imperatrice Jitō.

春過ぎて 
夏来にけらし 
白妙の 
衣ほすてふ 
天の香具山

 

Haru sugite 
Natsu ki ni kerashi 
Shirotae no 
Koromo hosu cho 
Ama no Kaguyama

Jitō tennō

(645-702)

 

Passata la primavera

Ecco l’estate

Sembra che la primavera sia terminata

l’estate sembra ormai venuta; e

passata è primavera

e che sopraggiunta sia l’estate

vestiti di candido tae, dicono

bianco vestito

visto che candide vesti di gelso

stanno già asciugandosi (al sole)

sei come i panni al sole

sono stese ad asciugare

o celeste monte Kagu.

monte del cielo o Kagu.

sul divino monte Kagu.

Traduzione di Marcello Muccioli.

Traduzione di Nicoletta Spadavecchia.

Traduzione di Andrea Maurizi.

 

Le traduzioni sono tratte da:

Marcello Muccioli (a cura di), La centuria poetica, Milano, SE, 2010 (prima edizione: Firenze, Sansoni, 1950).

Nicoletta Spadavecchia, Michelangelo Coviello (a cura di), Fujiwara Teika. Tanka. Antologia della poesia classica giapponese, Milano, Corpo 10, 1990.

Andrea Maurizi, Poesie di cento poeti in Virginia Sica, Francesca Tabarelli de Fatis (a cura di), Lo spirito giovane della calligrafia classica. Personale di Kataoka Shikō, Trento, Go Book, 2006.

☛ Ho scelto queste traduzioni e non altre, che pure esistono, perché già nella mia disponibilità.

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L’immagine che ho scelto per illustrare il waka n°2 è di Utagawa Kuniyoshi, artista del tardo periodo Edo la cui sensibilità è, inevitabilmente, molto diversa da quella che ha dato origine al componimento che commenta.

E in questa immagine, ecco cosa vedo.

 

Sulla veranda della residenza imperiale, in primo piano, l’imperatrice Jitō e una sua ancella, che reca in mano un vassoio da scrittura, guardano verso il panorama lontano del monte Kagu, reso come in ombra, mentre bianche nubi basse sembrano salire dall’engawa, come se questa, più che aggettante su un giardino, sovrastasse una valle che noi, però, non possiamo vedere. L’imperatrice è abbigliata alla moda della corte di periodo Heian, anche se noi sappiamo che fu artefice dello spostamento della capitale a Fujiwara no Miya, ben prima della fondazione, nel 704, della più antica capitale permanente del Giappone,  Heijōkyō (poi chiamata Nara). Sopra i lunghi hakama rossi, Jitō indossa una serie di strati di vesti (hitoe), e una sopravveste le cui sfumature giocano sui toni del verde. Sulle fantasie geometriche delle fodere campeggia un decoro di fenici su intrecci di nuvole cinesi, chiaro motivo di buon auspicio. I capelli lunghi e neri sono lasciati sciolti sulle spalle e le ciocche più corte incorniciano un volto su cui, secondo la moda dell’epoca, le sopracciglia sono state rasate e ridipinte a metà della fronte.

La giovane attendente indossa una semplice veste bianca a motivi beneaugurali di chiavi cinesi sotto agli ampi e lunghissimi hakama rossi. Raccolti in una morbida coda chiusa da un nastro di carta candida, sono i lunghissimi capelli corvini della giovane donna.

Sulle teste dei due personaggi, Kuniyoshi, quasi a contraltare del rosso degli hakama, fa scendere due cordoni rossi che trattengono le tende avvolgibili in bambù (sudare) per mezzo di un nodo di buon auspicio, il nodo poi conosciuto come “agemaki”, che ho spiegato qui: https://www.rossellamarangoni.it/imperiali-geometrie-un-nodo-al-nigatsudo-pensando-al-genji-monogatari.html

Sappiamo che il monte Kagu poteva essere visto dall’imperatrice dalla sua residenza. Insomma, la scena che descrive nel suo celebre waka era il panorama che si dispiegava davanti ai suoi occhi. Non ci sono vesti stese, però, nella stampa di Kuniyoshi. Pure, la presenza, non poi così lontana, di un monte collegato sin dall’antichità con il mito della reclusione nella caverna della dea del sole Amaterasu, progenitrice della stirpe imperiale, sembra ricordare l’augusta ascendenza dell’imperatrice Jitō, figlia di Tenji tennō, il primo poeta incluso nella raccolta Hyakunin isshu. Una filiazione prima di tutto poetica.