何かひとつ不思議を示し
人みなおどろくひまに
消えむと思ふ
Nanika hitotsu fushigi o shimeshi hito mina no odoroku hima ni kiemu to omofu.
Mostrare agli altri una cosa straordinaria
e, approfittando della loro sorpresa,
scomparire.
In preparazione della lezione di sabato prossimo, rileggo Takuboku e lo sento sempre ideale fratello. Passano gli anni ma questa mia passione resta sempre uguale a se stessa e, anzi, si rafforza nella consapevolezza che questo poeta, giovane perduto ragazzo che stringeva la sua esistenza come un pugno di sabbia destinato a sfuggirgli fra le dita, questo ragazzo “brillante, testardo, capace di forti passioni ma spesso incapace di comprenderle”, secondo la celebre definizione di Donald Keene, ha saputo, come nessun altro prima di lui nella poesia giapponese, dare una dimensione universale al malessere di vivere e l’ha fatto con versi che colpiscono ancora come un pugno, che lasciano il segno. Quei versi senza i quali non avrebbe saputo andare avanti, e che pure lo facevano stare così male: “Per me, il giorno in cui scrivo tanka è un giorno infelice. È un giorno completamente buttato via, un giorno in cui non trovo soddisfazione da nessuna parte eccetto che nell’osservare il mio nudo me stesso del momento. Francamente, comunque, vorrei diventare un genere di persona che non ha bisogno di scrivere tanka.” Il tanka, il genere poetico classico di 31 sillabe che Takuboku trasformò a sua immagine e somiglianza, che rivoluzionò nelle tematiche e nella struttura, era la sua ossessione: “La mia testa si era riempita di poesia. Ogni cosa che vedevo, ogni cosa che sentivo, tutto diventava tanka.” Lo spirito ribelle di Takuboku, insofferente delle regole come dei rapporti interpersonali regolati dalla convivenza civile, incapace di sopportare qualsiasi giogo, emerge trionfante dalla lettura dei suoi tanka, quei suoi disperati ma veri, oh così veri!, “giocattoli tristi”.
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Se qualcuno ne volesse sapere di più può leggere il mio:
“’Nella mia testa tutto era poesia’. Ishikawa Takuboku (1886-1912), poesia come vita”, in Galleria, anno L, n° 1-2, gennaio 2000, pp. 91-104.
Ripubblicato parzialmente su Pagine Zen n° 91 Ishikawa Takuboku: poesia come vita.