Mukashi mukashi. Letture per non sentirsi soli. Un’antica storia d’amore.

I fini, il mare, il ponte sacro degli dei. Amanohashidate, aprile 2017.

Verso meridione si estende la pineta di Waraha. In passato vi erano i cosiddetti “toshiwaki waraha“, cioè “giovani officianti del santuario”. In vernacolo i maschi sono chiamati “kami no wotoko“, che vuol dire “figli degli dei”, e le femmine “kami no wotome”, che vuol dire “figlie degli dei”.

Vi erano due giovani, il maschio di nome Naka no Samuta no Iratsuko e la femmina di nome Unkami no Aze no Iratsume. Erano entrambi molto belli e la loro bellezza era risaputa in villaggi e borgate. Quando sentivano parlare della fama dell’altro, entrambi erano presi da una gran voglia di conoscersi. Passarono i mesi, passarono i giorni e alla fine si incontrarono in una festa che in vernacolo è detta “utagaki”* o “kagahi“.

Allora, Iratsuko intonò il seguente canto:

Su un piccolo pino

di Aze luminosa,

distesi i panni,

ti ho visto salutarmi,

piccola isola di Aze.

E Iratsume rispose:

Anche se mi hai detto

di attendere la marea,

tu mio amato

mi guardi

sebbene miriadi di isole mi nascondano.

I due desideravano ardentemente parlarsi, ma temendo che gli altri potessero venire a saperlo si allontanarono dai luoghi della festa, si nascosero dietro un pino e, prendendosi per mano e avvicinandosi l’uno all’altra, si dichiararono il proprio amore ed espressero i propri sentimenti. Messe da parte le loro vecchie afflizioni, si sorrisero di gioia. Era il tardo autunno in cui si posa la rugiada d’ambra, quando soffia la brezza dorata, quando la luna, la luna dell’albero di siliquastro, risplende nella secca a ponente, là dove si ode il canto delle gru. Era il tempo in cui il vento soffiava tra i pini sulle alture a levante, là dove volano le anatre che migrano. Era la quiete della sera, quando si ode l’antico sgorgare dell’acqua fra le rocce, era la quiete della malinconia della notte dalla brina nebbiosa. Sulla montagna vicina si intravvedevano i colori delle foglie rosseggianti che cadono nel bosco. Dal mare lontano si udivano le voci delle onde azzurre che si infrangono sulle rocce. In quel momento nessuno al mondo era più felice di loro. I due, presi interamente dalla dolcezza delle loro parole, non si accorsero nemmeno che la notte volgeva verso l’alba. Improvvisamente, un gallo cantò e un cane abbaiò, mentre il sole si levava alto nel cielo. I due giovani non sapevano cosa fare e, alla fine, vergognandosi di poter esser visti si trasformarono in alberi di pino. Iratsuko fu chiamato Namimatsu, che significa “pino dell’uomo giovane”, Iratsume fu chiamata Kotsumatsu, che significa “pino della fanciulla”. Quei nomi si tramandano dai tempi antichi e ancora oggi non sono mutati.

 

Dalla Cronaca della provincia di Hitachi e dei suoi costumi (Hitachi no kuni fudoki, inizi dell’VIII sec.),

sezione “Distretto di Kashima”, Carocci, Roma, 2013.

Traduzione di  Antonio  Manieri.

*Utagaki, eventi di natura agricola e amorosa caratterizzati da danze, scambio di canti e una certa promiscuità sessuale,

già presenti in Giappone nel periodo Yayoi  (III sec. a.C.-III sec. d.C.).

 

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Le antiche cronache regionali del Giappone, i fudoki, lungi dal costituire un semplice esempio di documento burocratico, rappresentano anche la testimonianza lirica degli albori della letteratura giapponese. E questo brano poetico ne è uno splendido esempio. Il fudoki di Hitachi può rappresentare davvero una lettura ricca di sorprese e aprire davanti a noi una finestra sul Giappone più antico. Inaspettato. Perché non riscoprire l’antica letteratura giapponese proprio in questo periodo?