Haru nikki. Note di primavera. 3.

I buoni propositi vengono ben presto accantonati, a Tōkyō. Le mie note di viaggio si arenano quasi subito. Tōkyō si vive, non si racconta. Tōkyō la vivo, o cerco di farlo, ogni volta al meglio delle mie possibilità, lasciandomi trascinare da collegamenti di passi e sottopassi, di uscite di stazioni, di piccole strade in cui incontri ragazzini che giocano a baseball e ti sembra di essere in un villaggio o, come scriveva Angela Carter, “strade in cui ti sembra che sia sempre domenica”.Il tempo si macina troppo in fretta, a Tōkyō. E non ne abbiamo abbastanza.

Troppe cose da fare, da vedere, e poi basta che un gruppo di ciliegi lungo un canale periferico attiri la tua curiosità per farti saltare i programmi, per farti cambiare idea. Il ritmo della folla ti trasporta, quel salto alla libreria di Aoyama che doveva, appunto, essere un salto, si trasforma in un momento infinito di scoperte. Perdi la cognizione del tempo. Sia che tu vada a visitare  una spettacolare mostra di paraventi della scuola Rimpa al Nezu Museum (e che emozione gli iris di Ogata Korin!, che splendore quell’indaco, quel verde), sia che che ti attardi lungo Aoyama dōri per il mercato “biologico” del sabato pomeriggio, tutto profumi e sensazioni di gusto, o che incontri un amico appena giunto dall’Italia al Muji café di Yurakuchō e chiacchieri per ore, guardando intanto le persone che si alternano ai tavolini.

Il tempo si consuma e non si misura, se si è, come noi, in vacanza. Ma a Tōkyō il tempo, e la vacanza, hanno per me una qualità diversa. Sento che vorrei tornare a scrivere di questa città, riprendere in mano di nuovo il mio piccolo libro su Tōkyō, ormai vecchio di dieci anni, per metterlo al passo con questo cuore pulsante e vitale, con le sue nuove grandezze, con le sue debolezze. Con la sua umana, tanto umana, bellezza.