Mukashi mukashi. Letture per farci compagnia. La nipote adorata ovvero l’educazione di una donna.

Mizuno Toshikata, Dopo la pioggia, 1904.

 

Dopo aver veduto l’abate allontanarsi, Toyono si volse lentamente verso Hana. Sollevò lo sguardo a contemplare la figura piuttosto alta della nipote, annuì con soddisfazione e la condusse di fronte al sacrario del tempio di Miroku, nel quale si venerava la madre di Kobo Daishi.*

«Le donne non possono salire al monte Koya, ma è permesso accedere a questo tempio di Jison’in, che per tale ragione viene chiamato il “Koya delle donne”, lo sapevi, vero?» «Sì.» «Il venerabile monaco Kishin sognò Kobo Daishi che gli raccomandava: “Invece d’inchinarti dieci volte dinanzi a me, prosternati nove volte di fronte a mia madre.” Conoscevi questo episodio?» «Solo vagamente.» «Dal rispetto che il santo Kobo Daishi nutriva per la sua madre si deduce che le donne non sono da disprezzare» «Sì, è vero.»

Toyono congiunse quietamente le mani e chiuse gli occhi. Hana la imitò, ma accortasi degli amuleti a forma di mammella che pendevano dai pilastri di fronte al sacrario, dimenticò per qualche istante di chiudere gli occhi. Erano di seta bianca imbottiti di ovatta, tondi e con al centro un’increspatura a forma di capezzolo; venivano offerti alla venerabile madre di Kobo Daishi e a Miroku come manifestazione di fede popolare, per propiziare la fortuna nel parto, nell’allattamento e nella crescita del bambino. Dai pilastri pendevano numerose mammelle, alcune a grandezza reale, altre minuscole, del diametro di un pollice. Fatta eccezione per due o tre, bianche e nuove, le altre erano scurite dalla pioggia e dal vento. Nonostante fosse abituata a vederle fin da bambina quel giorno le contemplava estatica; come sua madre quando l’attendeva e la nonna Toyono decine d’anni prima, quando aveva nel ventre suo padre, anche lei sarebbe un giorno venuta ad impetrare un parto felice. Aveva letto L’università delle donne** al liceo di Wakayama, ed era fermamente convinta che il significato del matrimonio, ed uno dei doveri della donna, consistesse nel generare figli per conservare la continuità della stirpe. Capiva perché la nonna, che l’aveva allevata in vece della madre, morta durante il puerperio, avesse voluto accompagnarla in quel tempio prima del matrimonio. Chiuse strettamente gli occhi, senza tuttavia sapere quale preghiera rivolgere al sacrario. Si affidava completamente alla volontà della nonna. […]

«Andrai ad abitare lontano. Dovrò rassegnarmi a non vederti sovente come vorrei. Non avevo nulla di speciale da dirti, ho voluto venire qui per rimanere sola con te.»

Da quel mattino la nonna le si rivolgeva con un tono più elegante e gentile solito: sembrava il tono formale riservato agli estranei, quasi la considerasse già una persona appartenente ad un’altra famiglia; ma vi si intuiva anche la tristezza di dover rinunciare ad una nipote tanto adorata. Hana rimase in silenzio. Se ne stava immobile, conscia dello sguardo della nonna che le fissava la fronte in silenzio.

Toyono aveva tenuto sempre con sé la nipote fin da quando era nata, senza affidarla mai a mani estranee, neppure per un giorno e l’amava teneramente: «La Grande Signora dei Kimoto» diceva la gente «non ama né il figlio Nobutaka né il nipote Masataka, è affezionata soltanto alla nipotina. Forse intende farle sposare un uomo da adottare,*** per lasciarle parte dei beni di famiglia.»

Toyono aveva voluto che Hana vivesse per alcuni anni a Wakayama, insieme al fratello Masataka, per concederle il privilegio di frequentare le scuole in città e di ricevere una educazione adeguata, a quel tempo solitamente preclusa alle donne; e si era adattata ad abitare in una scomoda casa di città per poter rimanere accanto alla nipote. La gente del paese aveva commentato: «Visto? La Grande Signora vuole proprio un marito da adottare per la nipote! Se no perché darle tutta quella istruzione, quasi debba diventare una studiosa?» […]

In realtà Toyono aveva avuto quell’intenzione. Ricordava con quanta umiltà Mio, la madre di Hana, morta in giovane età, avesse dovuto sottomettersi a lei, la suocera. Non voleva che la nipote subisse un destino simile. Toyono, che aveva goduto dei privilegi solitamente riservati a chi nasce figlia unica, sperava di arricchire ancor più la nipote insegnandole tutto ciò che aveva appreso. La casata dei Kimoto, una delle più famose della provincia, pareva essere letteralmente rifiorita grazie alla presenza di Hana, tanto la giovane era bella e intelligente, come desiderava la nonna. Hana conosceva i segreti dell’arte del rito del tè, era una abile calligrafa, una suonatrice diplomata di koto e, grazie all’educazione ricevuta da Toyono, sapeva esprimersi in un linguaggio impeccabile e comportarsi in perfetto ossequio alla etichetta. Se al lignaggio della famiglia si sommavano le doti elencate, che altro mai si sarebbe dovuto aggiungere?

 

 

Ariyoshi Sawako

(1931-1984)

 

Traduzione di Lydia Origlia.

Da: Il fiume Ki (Ki no kawa, 1959), Milano, Jaca Book, 1989, pp. 4-7.

*In questa traduzione non sono rispettati gli allungamenti delle vocali,  decisione a cui mi attengo in questa trascrizione.

**L’Onna daigaku era un manuale di educazione per le donne composto nel periodo Edo (XVIII sec.).

Vi si proponeva il modello di una rigida educazione confuciana volta ad assoggettare la donna al ruolo imposto di

“buona moglie e madre saggia”,  modello imposto alle donne giapponesi fino al dopoguerra.

***Riferimento alla pratica tradizionale dell’adozione del genero che permetteva a una famiglia senza eredi maschi di adottare un genero che permettesse di perpetuare il nome del casato.

 

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Storia di tre generazioni di donne della famiglia Kimoto, ambientata nella boscosa e rurale prefettura di Wakayama, terra natale della scrittrice, il romanzo di Ariyoshi Sawako ritrae con sottigliezza e sensibilità la vita delle donne nel Giappone della fine del XIX secolo. Ariyoshi, scrittrice, drammaturga, viaggiatrice e profonda conoscitrice della Cina contemporanea, ha affrontato nelle sue opere narrative e per il teatro temi insoliti e scabrosi per la sua epoca (i matrimoni intra-etnici, ad esempio) e lo ha fatto magistralmente. È considerata una delle figure più rilevanti della letteratura giapponese del XX secolo. Andrebbe anche in Italia, finalmente, riscoperta.