Scommessa sull’amore
Dopo aver fermato il cavallo presso il ponte di Sanjō e aver detto in fretta al servo: «Hai attaccato bene ai finimenti la sacca dei soldi? Torno subito», il sarto di nome Jūzō andò a porgere un breve saluto a Yonosuke e a dichiarare: «Sono venuto a congedarmi da voi. Sto andando a Edo. Tornerò presto», aggiunse. Yonosuke gli donò dell’argento per il viaggio e lo richiamò quando già era sulla soglia per domandargli: «Qual è lo scopo di questo viaggio?» «A essere sincero, mi è capitato di vantarmi affermando che se avessi incontrato donna Murasaki non mi sarei lasciato respingere neppure la prima volta. Una persona mi ha posto come arbitro Ubei, il Topo dei Venti Giorni;* così per una scommessa, vado a Edo a folleggiare con le cortigiane.» «Che uomo divertente! E il pegno?» «Se non mi respinge avrò in regalo l’alloggio di Kiyamachi. Se perdessi…» e sbiancatosi in viso gli tremava la voce.
«Sii sincero.» «È semplice: se sarò rifiutato mi evireranno senza però uccidermi.» Probabilmente quella persona l’aveva giudicato uno stupido e vi aveva investito dei soldi soltanto per divertirsi. «Con chi hai scommesso?» Gli domandò. «Ho promesso di non dirlo», rispose. «È una faccenda di vitale importanza. Rifletti bene. Ti conviene appendere un rosario alla testa d’oca selvatica,** ché, tanto non devi risparmiare perché non puoi lasciarla in eredità a nessuno. Rivestila invece col fundoshi*** di raso rosso arabescato», gli consigliò Yonosuke. Jūzō era un uomo onesto e versò le lagrime che fino allora aveva trattenuto. «Addio», disse, ma non si muoveva. Yonosuke, divertito, concluse: «Ti accompagnerò» e, senza neppure cambiarsi d’abito, si fece preparare un cavallo e partì seguito da Jūzō. Arrivati al negozio del quarto isolato di Honjō, Jūzō e Ubei furono vestiti da gran signori e mandati a Yoshiwara.
Vi erano poche speranze che riuscissero nell’impresa. Ubei, preoccupato, andò a trovare Riemon, padrone di una casa d’appuntamenti, gli mostrò una lettera di presentazione e gli raccontò che Jūzō era un uomo molto ricco e influente e che desiderava incontrare Murasaki. La padrona disse che sarebbe stato possibile dopo quattro o cinque giorni e, fissata la data, stavano per congedarsi quando Jūzō offrì un pacchetto al padrone sussurrando: «Oggetti preziosi che non si trovano a Edo». In quel momento arrivò Ubei che lo rimproverò: «Avresti dovuto aspettare a dargli del denaro!» «Non è denaro. Sono cose di pregio, in gran voga nella capitale», rispose. Sul pacchetto era scritto «Antica esegesi». Aperto, mostrò sette oggetti del valore complessivo di tre soldi: il perno di un ventaglio, un rivetto di bambù, un ago, una matassina di fili di seta, colla di farina, un bastoncino per pulirsi le orecchie, uno stuzzicadenti con la punta pestata.****
A quella vista il padrone esclamò: «Ma come è possibile che siano preziosi?» Ubei, mortificato, senza neppure rispondergli, condusse via l’amico. Giunse il giorno dell’appuntamento. Jūzō incontrò la tayū******e, lietamente rinfrancato dal sake, allungò una mano dicendo: «Donna Murasaki, anche voi», e afferrò malamente una tazza versandone il contenuto che, attraverso lo scollo della veste, giunse alle ginocchia di lei. Jūzō mostrò di esserne veramente costernato. La tayū, impassibile, si alzò, andò nel bagno e ordinò l’acqua per lavarsi, quindi si abbigliò proprio come prima, con una sottoveste di raso bianco arabescato, una veste rossa a macchie di cerbiatto con le falde e le maniche orlate della stessa seta della fodera, una sopravveste di seta Hachijō, tessuta diagonalmente, di un pallido color aglio. Una cortigiana della capitale non si sarebbe comportata con tanta raffinatezza. Dovrebbero, invece, avere sempre vesti di ricambio uguali. Per il primo incontro non si usa preparare l’alcova per l’ospite. La tayū dunque si coricò da sola, quindi chiamò Jūzō, gli parlò sommessamente, gli sciolse l’obi e se lo lasciò sciogliere e, dopo essersi concessa a lui di buon grado, a testimonianza del loro rapporto al primo incontro, prese la scatola della scrittura e scrisse su un angolo dell’obi inferiore: «Ho abbandonato il mio corpo al signor Jūzō. Non vi è menzogna», e firmò «Scritto da Murasaki». Non era mai capitata una cosa simile. Ubei, stupito, tornò all’alloggio a raccontarlo e Yonosuke volle andare a far visita a Murasaki, che gli spiegò: «Osservandolo bene, ho capito chiaramente che quell’uomo un po’ tonto mi era stato mandato in seguito a una scommessa. Mi sono concessa a lui in odio alla persona che ha osato inviarmelo». Yonosuke, ammirato, battè le mani: «Perché tacervelo? È giunto dalla capitale solo per quello scopo». Cercò quindi di conquistarla, ma fu respinto. Era una donna veramente raffinata.
Ihara Saikaku
(1642-1693)
Traduzione di Lydia Origlia.
Da: Vita di un libertino (Kōshoku ichidai otoko, 1682), Milano, Guanda, 1988, pp. 228-232.
*Soprannome di un intrattenitore di banchetti.
**Metafora per “prepuzio”.
*** Perizoma.
****Stuzzicadenti più grossi della norma venivano pestati in punta per farne degli spazzolini.
*****Tayū erano le cortigiane di livello più elevato nella gerarchia del quartiere del piacere.
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Yonosuke, ossia “uomo di mondo”, è il libertino per eccellenza della letteratura giapponese, un personaggio proverbiale nato dalla penna felice di Saikaku, figura archetipica del dandy esperto (tsū) del mondo del quartiere del piacere a cui il suo autore attribuisce la seduzione di 3742 donne e 725 ragazzi, secondo il gusto dell’enumerazione grottesca tipico della “letteratura del mondo fluttuante”. Ma in questo episodio Yonosuke compare nelle vesti di un amico preoccupato per la sorte di un uomo ingenuo…