C’era una volta a Edo. L’ultimo giorno dell’anno nella capitale.

Utagawa Hiroshige (1797–1858), Surugacho no zu, 1856, da Edo meisho hyakkei (Cento vedute di luoghi celebri di Edo).

I sempre prosperi negozi di Edo.

 

Nelle strade di Edo regna la pace e qui la gente di tutto il paese desidera fare i propri affari: si vedono negozi di ogni tipo e non passa giorno senza che arrivino mercanzie inviate in ogni provincia per via mare e sul dorso di migliaia di cavalli. Non c’è bisogno di prove ulteriori per capire che nel mondo c’è abbondanza d’oro ed argento, e sarebbe una vera disgrazia per il mercante non poterne toccare un po’ con le proprie mani.

Dalla metà del Dodicesimo Mese la via Tori assume l’aspetto di un vero mercato di tesori, dove le merci ordinarie sono messe da parte per far posto a quelle poste in vetrina soltanto in occasione delle feste di Capodanno: il volano, mazzuoli della buona fortuna tempestati d’oro e d’argento e altri simili lussi. Anche un piccolo arco costa due ryō d’oro, poiché a Edo non soltanto i signori ma anche i semplici cittadini sono estremamente prodighi.

Lungo ogni strada le bancarelle sono affollatissime: le monete di rame scorrono come acqua, mentre pile d’argento si accumulano come neve. Visibile in distanza, il monte Fuji si erge imponente contro l’orizzonte, mentre i passi della gente che attraversa il ponte Nihon rimbombano come si sfilassero migliaia di carri. Ogni mattino, al mercato della strada Funa, si vedono talmente tanti pesci che viene spontaneo di chiedersi se nei mari ne rimangano ancora; enormi quantità di ravanelli giungono al mercato delle verdure di via Suda in Kanda in groppa a migliaia di cavalli, come se i campi si spostassero in città. Le montagne di pepe rosso sono talmente alte che, anche se siamo nella provincia di Musashi, si è portati a pensare di stare di fronte a un paesaggio osservato in autunno dal monte Tatsuta. Lungo la strada Honmachi, i negozianti di tessuti espongono pezze multicolori con disegni di scene delle quattro stagioni; nei negozi del quartiere di Tenma, le mercanzie in cotone ricordano le montagne di neve di Yoshino all’alba. 

Al calar delle tenebre, si appendono le lampade sui frontoni del negozio e le strade sono avvolte in un bagliore di luci: la vigilia di Capodanno, il giorno in cui mercanti fanno gli affari più grandi, vale 1000 ryō d’oro.

Gli artigiani di Edo, solitamente attendono l’alba di Capodanno per procurarsi i geta e i tabi ma, un anno, capitò che in tutta Edo non si trovava un solo paio di calze e di scarpe: dobbiamo ricordare che nella più grande città del Giappone la domanda era di migliaia di paia. Di prima mattina, il prezzo di vendita era stato di soli sette o otto bu, dopo mezzanotte crebbe a un monme e due o tre bu, all’alba successiva raggiunse i due monme e mezzo; eppure, anche a quel prezzo, sebbene ci sarebbero stati acquirenti, non c’erano venditori.

Un altro anno, una coppia di piccoli pagelli era venduta a diciotto monme e una sola arancia decorativa costava due bu: nonostante i prezzi, la gente di Edo non si trattenne dall’acquistarli. A Kyōto e Ōsaka, al contrario, la gente non acquista neppure per caso a prezzi esorbitanti: è dunque vero il detto che gli abitanti di Edo hanno le vedute dei signori.

Quando qualcuno dalle vedute ristrette che ha soggiornato a lungo a Kyōto o a Ōsaka si  trasferisce a Edo, s’adatta talmente bene alla spirito di Edo che non conta neppure più le monete di rame, ne pesa quelle d’oro; se, per caso, arriva una moneta un po’ troppo leggera, la passa al primo venuto senza scomporsi. Visto che il denaro cambia continuamente di mano, chi potrebbe accorgersene?

Il diciassette o il diciotto del Dodicesimo Mese, nei negozi di cambio si vedono montagne luccicanti d’argento ed oro di cui nessuno può dire quante volte all’anno hanno viaggiato tra Edo e Kyōto o Ōsaka: nonostante tutto quel denaro, c’è ancora qualcuno che è costretto ad attendere l’anno nuovo senza una sola moneta in tasca… anche a Edo!

I regali che si sogliono fare in occasione dell’anno nuovo sono spade, kimono, sake, pesce e scatole di candele, speranze di una primavera che duri eterna. Persino i rami di pino appesi alle porte delle abitazioni simboleggiano il primo passo nell’ascesa al monte della perpetua prosperità; il sole sorgente irradia di pace l’intera popolazione, mentre la primavera arriva sotto un cielo senza nuvole.  

 

Ihara Saikaku

(1642-1693)

da “I calcoli del mondo” (Seken munezan’yo, 1692), in Storie di mercanti, Torino, Utet, 1983. Traduzione di Michele Marra.

Utagawa Shigenobu (1826-1869), detto Hiroshige II, Il santuario Shiba Shinmei, 1858. Dalla raccolta Edo meisho (Luoghi celebri di Edo).