3. A Kumamoto, una festa di paese in città
Delle quattro grandi isole del Giappone, Kyūshū è la più meridionale, quella da sempre più aperta alle influenze straniere, cinesi, coreane e occidentali addirittura (Portoghesi e Olandesi sbarcarono qui nel Cinquecento).
Collegata alla più grande isola di Honshū per mezzo di un tunnel sottomarino che lo shinkansen percorre a velocità supersonica, senza che ce se ne accorga neppure, Kyūshū è la regione dei vulcani, delle stazioni termali, dei campi disseminati di alberi da frutto (cosa molto rara nel resto del paese), dei banani che occhieggiano qua e là dai giardini e delle palme sulle spiagge alla moda, già tropicali…
Ci fermiamo tre giorni a Kumamoto, nel cuore dell’isola, una città modernissima che però nasconde alcuni gioielli: uno splendido e maestoso castello nero del Seicento, dalle mura possenti e un giardino (Suizenji Jōju-en) che, in piccolo, riproduce alcuni dei più celebri paesaggi del Giappone. Ma in questa metà d’agosto, è tempo di festa. Siamo infatti capitati proprio all’inizio dell’Hi no Kuni Matsuri (la Festa del Paese dei Fuochi), una festa che coinvolge l’intera città per tre giorni e che culmina in una colorata sfilata di gruppi danzanti.
Se durante la giornata la vita frenetica della città non sembra presagire nulla, appena cala il sole (che qui tramonta presto), al termine della giornata di lavoro, ecco cambiare l’atmosfera. E l’atmosfera è ora quella di una festa strapaesana, un po’ insolita per una città di mezzo milione di abitanti, con un centro di viali ampi e trafficati, di grattacieli che fiancheggiano gallerie di centri commerciali. Ma lungo le stradine attorno al fossato del castello, compaiono bancarelle di tutti i tipi e cresce l’animazione. Si accendono lanterne di carta colorata come si accendono i fornelli o le piastre su cui cuoceranno i più vari spuntini.
Qui si fanno spiedini di anguilla, là si cuociono mele caramellate sullo stecco, qui si vendono involtini di pesce, là tocchetti di polpo alla griglia, una specialità chiamata takoyaki. I venditori sono spesso vecchie signore dall’aspetto paesano nei loro kimono scuri, a volte invece sono ragazzi dagli improbabili capelli biondi o viola, scolpiti a colpi di gel, che ti si rivolgono sorridenti e gentilissimi, come non ti aspetteresti. Altre bancarelle propongono bibite ghiacciate vendute in contenitori dalla forma di pupazzi, o maschere dalla faccia di personaggi dei cartoni animati (anime, si dice qui) o palloncini colorati dalle forme più strane, dal cervo all’astronauta. Hello Kitty spuntano da tutte le parti: abbracciate alle spalle delle bambine e trasformate in zainetti o dalle bottigliette di tè verde freddo, bevanda prediletta da tutti, e non solo da queste parti.
Ci colpiscono due bancarelle di splendide ceramiche: teiere, chawan (tazze) per il matcha (il tè verde in polvere per la cerimonia del tè), bicchieri e ciotole di tutti i tipi, quei pezzi che costituiscono il corredo indispensabile di ogni massaia di qui e che sulle tavole esteticamente impeccabili della cucina giapponese, sostituiscono i nostri volgari piatti. Hanno splendide fantasie di bianco e blu, pennellate di grigio e di azzurro o sono brunite dagli effetti del fuoco nello stile raffinato di Bizen. Ma, tutte, farebbero la gioia di qualsiasi appassionato che a Milano fa la corte ai carissimi pezzi giapponesi della Rinascente… E qui costano così poco!
A poco a poco le stradine si animano, così come la salita che conduce al castello: la musica viene diffusa a tutto volume dai vari altoparlanti, le bambine nei kimono dai decori estivi e in zoccoli di legno mostrano con noncuranza un’eleganza inaspettata, i maschietti, più indiavolati, si rincorrono con grida marziali brandendo temibili katana di samurai in plastica. Le ragazze in yukata (kimono estivi di cotone) dalle splendide fantasie, passeggiano a coppie o a gruppetti, spesso ridono timidamente, nascondendo il sorriso dietro la mano, o le vedi accovacciate in un angolo, che si nascondono per parlare la telefonino, discrete. Sono molte le coppie che sgranocchiano mele caramellate o zucchero filato dai colori assurdi. Ma spesso sono i papà, alcuni dei quali in kimono, che portano in spalla i bambini e li accompagnano alle bancarelle dei pesciolini. Sono, queste, bancarelle che ci incuriosiscono: ci sono vasche dai bordi bassi, piene di biglie colorate e di pesci piccolissimi che il bambino dovrà pescare usando una piccola rete o una ciotolina in ceramica o plastica. A vedere tutti questi bambini e questi adulti così coinvolti nell’impresa, ci viene da pensare che il kingyo sukui sia proprio divertente!
Tutti sembrano divertirsi, ma con poco. Sulla riva del fiume una gara di tiro alla fune. E ci si sgola a fare il tifo. Mentre i concorrenti si incitano a vicenda, con lo hachimaki, la fascia bianca dei combattenti, ben legata sulla fronte. Nel prato davanti al castello, la prima sera della festa, un concerto di salsa, e fa effetto vedere un pubblico così numeroso danzare ai ritmi latinoamericani, qui davvero amatissimi. Ma il concerto finisce presto, e alle nove le luci si spengono a poco a poco, anche se la notte estiva è ancora lunga. Domani si torna in ufficio. Resterà ancora una sera di festa e si ballerà sfilando sul viale chiuso al traffico per l’occasione, travestiti a come a Carnevale o in yukata colorati. Tutti insieme. Nella notte tropicale.
Settembre 1999