Parigi, itinerari giapponesi. 14

Di Albert Kahn, del Giappone e di una mostra …


Sulla locandina, un attore del teatro nō. Parigi, agosto 2011.

 

 

C’è un luogo, a Parigi, dove mi sento davvero in Giappone.

È il giardino giapponese del Musée Albert Kahn. Basta prendere la linea 10 del metrò e scendere al capolinea, Boulogne-Porte de Saint-Cloud: poche fermate, tutto sommato, per un viaggio davvero sorprendente. Del resto si tratta di un progetto straordinario, quello che racconta questo museo, frutto di una grande personalità, un uomo generoso e sognatore, un banchiere, Albert Kahn (1860-1940) capace di trasformarsi in un mecenate. Convinto com’era che l’incontro delle culture e dei popoli avrebbe reso il mondo migliore e avrebbe cancellato le guerre, e conscio delle enormi possibilità che la nascita di nuove tecnologie, come quella della fotografia e quella del cinematografo, aprivano, Kahn decise di inviare per il mondo tecnici e fotografi che riprendessero luoghi e feste, monumenti e gesti della quotidianità allo scopo di creare una archivio del pianeta, “una memoria iconografica delle società, degli ambienti e dei modi di vivere”. Vivendo in un’epoca di grandi e veloci trasformazioni, Kahn sentì la necessità di documentare ciò che stava per essere spazzato via del nuovo e lo fece inviando i suoi fotografi in 50 paesi, dal 1909 al 1931.

Un progetto grandioso e visionario che sarebbe stato interrotto solo dalla mancanza di fondi causata dal tracollo finanziario della banca di Kahn dovuto alla crisi del 1929.

Cosa resta, allora, oggi di quell’idea? Resta un museo che conserva “les Archives de la Planète”, un fondo costituito da 180 mila metri di film in bianco/nero e da più di 72mila placche autocrome (l’autocromo è il primo procedimento industriale di fotografie a colori reali e il museo ne possiede la più grande collezione al mondo). Restano i giardini che, nel suo ideale di esaltazione delle diversità culturali, Kahn volle rappresentativi di varie concezioni di giardino: all’inglese, alla francese, la foresta dei Vosgi, la foresta canadese, il giardino giapponese, anzi, i due giardini giapponesi.

Per visitarli, ancora una volta, siamo tornati con Marta una delle scorse domeniche. Una lieve brezza agitava il boschetto di bambù che nasconde alla strada l’edificio del museo, discreto, quasi sepolto dalla vegetazione dal lato dei giardini.

L’occasione, questa volta, era particolarmente ghiotta: l’esposizione di una scelta dei preziosi autocromi dei fotografi di Kahn realizzati in Giappone: “Clichés japonais. 1909-1930, le temps suspendu”. Il legame di Kahn per il Giappone, non estraneo alla passione giapponizzante sempre viva nella Parigi di inizio Novecento, era particolarmente forte: i viaggi nell’arcipelago si susseguivano sia per la sua attività di banchiere, sia per puro piacere, un autentico “philanthrope japonisant”. Aveva imparato ad amare il Giappone e continuò costantemente a frequentarlo, a intrattenere rapporti con amici giapponesi (anche di altissimo livello, come alcuni membri della famiglia imperiale) per tutta la vita.

Documenti filmati rarissimi ( i funerali dell’imperatore Taishō, ad esempio) e scatti preziosi che, per la stessa natura dell’autocromo, sono esposti con una retroilluminazione che li fa sembrare diapositive ante-litteram (scelti fra i 2400 realizzati dai tre inviati di Kahn in Giappone nel 1908, nel 1912 e nel 1927-28) documentano la vita quotidiana del Giappone rurale e urbano agli albori della modernizzazione. Famiglie in posa, contadine o aristocratiche, vie delle città e minka, fattorie, grandi templi, santuari e giardini, attori e sacerdoti o monaci, i riti religiosi e quelli del teatro: ognuna delle sezioni della mostra ci presenta un Giappone vivo, dinamico, proiettato verso la modernità e tenacemente legato alle tradizioni. E ciò che colpisce maggiormente, forse, chi ha viaggiato attraverso l’arcipelago, è riconoscere alcuni luoghi e ritrovarli… intatti nel ricordo: come se il tempo non fosse passato. Per lo studioso, poi, l’esposizione è una miniera di suggerimenti, di indizi, di inviti alla riflessione, all’approfondimento.

Ci incantano certi paesaggi, e quell’ “esprit des lieux” reso con inaspettata efficacia – memori di altre estati, di altre vacanze.

Poi usciamo in giardino.

 

… à suivre…

Entrando nel giardino giapponese di Albert Kahn...