“Sbiadire alla brina del mattino”. Eguchi. Un frammento di noh.

Tsukioka Kōgyo (1869 - 1927), Eguchi, stampa della serie Nōgaku zue, 1897 - 1902.

Nelle mattine di primavera di fiori vermigli,

i monti scarlatti di broccati e ricami

appaiono adorni, ma eccoli

sedotti dal vento della sera;

nelle sere d’autunno di purpuree foglie e gialle,

i boschi di crespo scarlatto

s’intingono di colori, ma eccoli

sbiadire alla brina del mattino.

Al trapelar del vento tra i pini, della luna tra i rampicanti,

anche i gitanti si scambian saluti,

trascorrono per mai più tornare.

Nell’alcova dalle cortine di giada e coltri vermiglie,

anche gli amanti che allineano i guanciali,

un giorno s’allontaneranno, per non rivedersi più.

Così piante e alberi senza sensibilità

e esseri umani con sentimenti,

come potranno sottrarsi mai alla pena.

(dal nō Eguchi)

 

Traduzione di Bonaventura Ruperti.

In Paola Cagnoni, Scritti teatrali, a cura di Bonaventura Ruperti, Venezia, Cafoscarina, 2006.

 

Il dramma Eguchi, di cui ci resta una copia autografa di Zeami risalente al 1424, resta comunque di incerta attribuzione.  E’ inserito nel terzo gruppo, quello dei dramma di donna, o katsura mono (letteralmente “drammi della parrucca).

Fugen Bosatsu in un dipinto su seta del tardo periodo Kamakura.

Nell’opera il fantasma di una cortigiana compare a un monaco pellegrino, rivivendo il suo incontro con il monaco -poeta Saigyo a cui aveva rifiutato un riparo per la notte. La cortigiana ricompare su una barca alla luce della luna, accompagnata da alcune donne e rimprovera il monaco per averle chiesto di soggiornare anche se solo per un momento sotto il suo tetto, cosa sconveniente per un religioso. Egli sembra non essere consapevole che tutto passa, che ogni fenomeno è apparente, che ogni cosa, o albero o animale o essere umano soggiace alla legge dell’impermanenza, il mujō. Si rivela a lui infine come il bodhisattva Fugen Bosatsu (in sanscrito Samanthabhadra, ossia “l’universalmente votato al bene”, colui che è ricolmo di benevolenza), comparendo sulla sua cavalcatura, l’elefante bianco, mentre si allontana nel cielo.