Costellazione concentrazionaria. Mappa del dolore.

 

 

Costellazione concentrazionaria

 

In questa terrestre configurazione,

abbiamo non punti di luce

ma acuminati spunzoni d’oscurità.

 

E’ proprio là sulla mappa.

E’ proprio là nella mente.

Trovalo.  Se ti va di cercarlo.

 

Comincia fra i più alti e i più bassi

rilievi dello Stato Dorato

e da’ nome a quel luogo

 

Manzanar. Disegna verso sud

come un serpente a sonagli una linea

che vada fino alla zona

di Arizona, fino alla casa

dei nativi nelle riserve,

e chiamale Gila e Poston.

 

Poi, prenditela comoda,

mentre te ne vai girovagando

attraverso la distesa del Sud-Ovest,

lo Stato del Texas “Stella Solitaria”,

e raccogli blues alla rinfusa

seguendo i meandri delle rive

dell’umido Mississippi; sì,

fa’ come se fossi a casa tua

nelle paludi dell’Arkansas,

perché queste sono Rohwer e Jerome.

 

Ormai sei stanco della strada.

E’ un grande paese, dici.

E’ una grande storia, e non sei

nemmeno a metà – con Amache

lontana nel deserto del Colorado,

Heart Mountain lassù in alto nell’ampio

Wyoming, Minidoka nella luna

dell’Idaho, e giù di nuovo verso il gioiello

dell’Utah, Topaz, prima di ritrovarti sulla spiaggia gelata

di Tule Lake nella California del nord…

 

Adesso guarda che razza di forma

ha assunto questa costellazione.

Se ne sta lì come una cicatrice slabbrata,

imponente nell’imponente paesaggio.

Se ne sta lì come il rugginoso filo spinato

d’un recinto contorto e ricordato.

 

In this earthy configuration,

we have, not points of light,

but prominent barbs of dark.

It’s all right there on the map.

It’s all right there in the mind.

Find it. If you care to look.

Begin between the Golden State’s

highest and lowest elevations

and name the location

Manzanar. Rattlesnake a line

southward to the zone

of Arizona, to the home

of natives on the reservation,

and call those Gila, Poston.

Then just take you time

winding your way across

the Southwest expanse, the Lone

Star State of Texas, gathering

up a mess of blues as you

meander around the banks

of the humid Mississippi; yes

just make yourself at home

in the swamps of Arkansas,

for this is Rohwer and Jerome.

By now , you weary of the way.

It’s a big country, you say.

It’s a big history, hardly

halfway through – with Amache

looming in the Colorado desert,

Heart Mountain high in wide

Wyoming, Minidoka on the moon

of Idaho, then down to Utah’s

jewel of Topaz before finding

yourself at northern California’s

frozen shore of Tule Lake

Now regard what sort of shape

this constellation takes.

It sits there like a jagged scar,

massive, on the massive landscape.

It lies there like the rusted wire

of a twisted and remembered fence.

 

Lawson Fusao Inada

(1991)

Traduzione di Mario Maffi. 

 

In Voci dal silenzio. Scrittori ai margini d’America, a cura di Mario Maffi, Milano, Feltrinelli, 1996.

 

Conoscete i nomi di Manzanar, Tule Lake, Topaz, Amache, Minidoka… ? Conoscete Heart Mountain e Rohwer? Jerome e Gila? Poston?  Sono campi che punteggiano la mappa degli Stati Uniti, luoghi lontani e sperduti in territori desertici. Tanto, tanto lontano dal mare. Sono i campi di internamento in cui vennero rinchiusi i cittadini statunitensi di origine giapponese. Centoventimila persone che nel 1942, nell’arco di poche settimane, in ottemperanza all’Executive Order 9066, furono strappate alle proprie case, alle proprie occupazioni, spesso anche a coniugi che non erano di origine giapponese e quindi non erano tenuti a seguirli. Queste persone furono strappate alla loro vita e rinchiuse in 26 campi dove avrebbero trascorso due anni duri di prigionia, di stenti. Una teoria di nomi che il poeta Inada dispiega come un rosario di misteri dolorosi. Nomi incisi nella polvere del deserto e che il vento del deserto non cancellerà.