I cappelli di paglia alla stazione – fiori di sopra e sotto campanelli- sono pronti . Gruppi di ragazze, di uomini, di donne in kimono leggeri, happi, yukata, nei costumi più disparati, si fermano al semaforo e restano in attesa. Si raduneranno di lì a poco nel santuario shinto vicino, a prepararsi alla parata. É la festa. E d’improvviso la musica, un canto rurale sempre ripetuto, riecheggia nella luce ancora viva del tardo pomeriggio.
Tutti iniziano a danzare: i gruppi innumerevoli di scuole, aziende, cliniche, associazioni, ognuno con il proprio kimono, ognuno con i propri colori. E i ragazzi della street dance a danzare sinuosamente ed energicamente facendo volteggiare il cappello di paglia là dove le signore elegantemente accennano un tocco leggero e rapido, quasi simbolico.
É la festa. Lungo la via della parata, sui marciapiedi, banacarelle di yakisoba, yakitori, spedini alla griglia, patate alla brace, kamaboko, kakigori.
D’improvviso, la pioggia. Ombrelli si muovono, danzano, ondeggiano fra il pubblico che accompagna i danzatori, affiancandoli, seguendoli, dall’orlo del marciapiede, dalle verande dei locali, dai balconi delle caffetterie.
Ma la festa è più forte della pioggia. Smette, e resta quell’atmosfera carica di umidità che sale dai marciapiedi. Ma loro no, i danzatori, loro, non hanno mai smesso. Impiegati, studenti, casalinghe o quadri, sono ancora lì, a migliaia, che stanno danzando, che si muovono all’unisono, lì, lungo il viale che porta alla prefettura, occupano ogni spazio e da lontano vedi quel brulicare umano di centinaia di braccia che si muovono, di piedi che si sollevano.
Ti sembra ancora di rivedeteli davanti quando rientri all’hotel in una notte che sembra tropicale. Ancora odi la musica, come in lontananza, ancora li vedi danzare. Forse lo stanno ancora facendo. Nel tuo ricordo continueranno a danzare. Fino alla prossima estate.I cappelli di paglia alla stazione – fiori di sopra e sotto campanelli- sono pronti . Gruppi di ragazze, di uomini, di donne in kimono leggeri, happi, yukata, nei costumi più disparati, si fermano al semaforo e restano in attesa. Si raduneranno di lì a poco nel santuario shintō vicino, a prepararsi alla parata. É la festa. E d’improvviso la musica, un canto rurale sempre ripetuto, riecheggia nella luce ancora viva del tardo pomeriggio.
Tutti iniziano a danzare: i gruppi innumerevoli di scuole, aziende, cliniche, associazioni, ognuno con il proprio kimono, ognuno con i propri colori. E i ragazzi della street dance a danzare sinuosamente ed energicamente facendo volteggiare il cappello di paglia là dove le signore elegantemente accennano un tocco leggero e rapido, quasi simbolico.
É la festa. Lungo la via della parata, sui marciapiedi, bancarelle di yakisoba, yakitori, spedini alla griglia, patate alla brace, kamaboko, kakigori.
D’improvviso, la pioggia. Ombrelli si muovono, danzano, ondeggiano fra il pubblico che accompagna i danzatori, affiancandoli, seguendoli, dall’orlo del marciapiede, dalle verande dei locali, dai balconi delle caffetterie.
Ma la festa è più forte della pioggia. Smette, e resta quell’atmosfera carica di umidità che sale dai marciapiedi. Ma loro no, i danzatori, loro, non hanno mai smesso. Impiegati, studenti, casalinghe o quadri, sono ancora lì, a migliaia, che stanno danzando, che si muovono all’unisono, lì, lungo il viale che porta alla prefettura, occupano ogni spazio e da lontano vedi quel brulicare umano di centinaia di braccia che si muovono, di piedi che si sollevano.
Ti sembra ancora di rivedeteli davanti quando rientri all’hotel in una notte che sembra tropicale. Ancora odi la musica, come in lontananza, ancora li vedi danzare. Forse lo stanno ancora facendo. Nel tuo ricordo continueranno a danzare. Fino alla prossima estate.