Dicono che la luna più bella dell’anno sia quella di mezzo autunno (chūshū no meigetsu)…
Osservando la luna piena, ancor più bella se velata dal passaggio delle nubi, nell’antichità in Giappone si celebrava il raccolto, si ringraziavano i kami per i frutti della terra, ascoltando il canto degli insetti notturni che, nella poesia tradizionale, sono espressione della stagione delle messi.
Era spontaneo allora ricordare antiche leggende, come quella, struggente e molto amata, ripresa dalla raccolta di racconti, leggende e apologhi morali di ispirazione buddhista del Konjaku monogatari (XI sec.) e riscritta da Daigū Ryōkan. Questa.
La lepre sulla luna
In un tempo lontano,
una lepre e una scimmia
fecero amicizia
con una volpe.
Durante il giorno,
giocavano nei campi,
al tramonto del sole,
tornavano nella foresta.
In questo modo
passarono gli anni,
fino a quando
il Re del Cielo,
udito il fatto,
per sapere la verità,
in sembianza di vecchio,
venne barcollando
e disse agli animali:
“Ho sentito che voi tre
giocate assieme,
pur essendo
di specie diversa.
Se questo è vero,
salvate un vecchio
che muore di fame.”
E gettato il bastone,
si mise a riposare.
“È molto semplice,”
risposero gli animali.
Senza esitare,
la scimmia tornò
dal bosco vicino
portando della frutta,
la volpe con un pesce
preso nel ruscello.
Anche la lepre
girò attorno,
ma non trovò niente
da offrire al vecchio.
Disprezzata, soffriva,
nel suo cuore.
Infine, disse:
“Tu, o scimmia,
porta legna dal bosco;
e tu, o volpe,
accendi il fuoco.”
Avendo le due
eseguito l’ordine,
la lepre si gettò
in mezzo al fuoco,
offrendosi in dono
al vecchio affamato.
A questa vista,
il vecchio levò
gli occhi al cielo
e si accasciò al suolo,
in lacrime.
Battendosi il petto,
disse agli animali:
“Tutti e tre,
da buoni amici,
avete agito bene.
Ma la lepre
mi ha commosso.”
Ripresa la forma
di Re del Cielo,
raccolse dal fuoco
i resti della lepre
e li depose
nel Tempio della Luna.
Questa è la storia
della lepre sulla luna,
tramandata fino ad oggi.
Quando la sento,
la mia veste
si bagna di lacrime.
Daigū Ryōkan
(1758-1831)
Traduzione di Luigi Soletta.
Da Poesie di Ryōkan, monaco dello Zen, a cura di Luigi Soletta, Milano, La Vita Felice, 1994.