Raccontare Fosco Maraini (1912-2004) è difficile, è complicato. Come lo è sempre, in questi casi. D’accordo. Ma quando si parla di una persona ammirata, un punto di riferimento imprescindibile per chi ha affrontato o affronta gli studi nipponisti in Italia, ebbene, il rischio che si corre forse è sì, proprio quello di farne un monumento. E a me, che Maraini l’ho guardato e ascoltato con sommo rispetto da una poltrona defilata durante i convegni di Aistugia,* l’idea di un monumento non piace granché.
Una volta mi era capitato di ritrovarlo seduto al tavolo vicino, in hotel, all’ora di colazione, in una dolcissima e tersa mattina di settembre, a Venezia. Avevamo scambiato qualche parola a proposito di libri e della mia professione di libraia: che impressione scoprire un uomo fragile nel corpo eppur così vivace di tempra, e sempre affascinante, nella sua vecchiaia.
Fosco Maraini è stato studioso, alpinista, orientalista, esploratore, fotografo, antropologo, poeta, scrittore (elenco che traccio a caso). Un uomo rinascimentale nella sua complessità e nella sua curiosità intellettuale, un cittadino della luna in visita sulla terra, come si definiva. Curioso di tutto ciò che la terra contiene. “Nulla di ciò che è umano mi è alieno” scriveva Terenzio. Mi sembra che questo motto, a me così caro, in qualche modo gli si addica. Pure, restituire Maraini alla sua umanità, in questo anno di mostre, omaggi, ricordi, celebrazioni ufficiali, mi sembra la miglior cosa.
Un arbitrario zibaldone di scritti e testimonianze, suoi o di chi gli fu accanto, sarà per me l’unico modo di ricordarlo qui.
E mi si perdoni la personalissima scelta.
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* Associazione Italiana per gli Studi Giapponesi, fondata da lui e da una trentina di altri studiosi di cultura giapponese nel lontano 1973.