Livres de chevet: questa settimana, sul mio comodino.

comodino

Siamo quello che leggiamo? Non so, ma non potrei concepire la vita senza libri, e sarebbe impensabile una serata senza un buon libro, in quell’ultimo scorcio della notte che precede il sonno.

E le scelte di lettura, quando sono fatte in autonomia e non suggerite da omaggi editoriali, raccontano molto di una persona.

Ecco cosa sto leggendo in questi giorni, la notte:

 

Romanée-Conti 1935, del grandissimo scrittore Kaikō Takeshi (perchè nessuno lo traduce in italiano? e basta con questa Banana!), pubblicato dalla Philippe Picquier, in francese. Brevissimo, folgorante, un capolavoro assoluto da leggere e rileggere assaporandolo, proprio come un vino prezioso come quello citato nel titolo.ROMANEE CONTI

 

Kirino Natsuo, L’isola dei naufraghi, Giano, in italiano. Dopo le innumerevoli riletture del Robinson di Defoe (che so, il Vendredi di Tournier, il Foe di Coetzee, il Signore delle mosche di Golding e romanzi e racconti che ho dimenticato), la saga tv di Lost e chissà che altro, cosa può raccontare di nuovo un romanzo di naufraghi e di isole? Anche l’indagine psicologica, in altre sue opere davvero apprezzabile, sa qui di trito, di letto e riletto. E il libro non sembra mai decollare. Il finale poi sembra davvero poco convincente, raffazzonato. Peccato.

 

Nagai Kafu,  Rivalry. A Geisha’s Tale (Udekurabe), in inglese, pubblicato dalla Columbia University Press, preso in prestito dalla biblioteca dell’Isiao di Milano.  Appena iniziato. Ma amo Kafu, sempre.

 

Mentre il mio livre de chevet, da alcuni anni è:

A. Durer, Autoritratto con pelliccia (part.). Monaco, Alte Pinakothek.
A. Durer, Autoritratto con pelliccia (part.). Monaco, Alte Pinakothek.

Michael Kohlhaas

di Heinrich von Kleist, in una vecchissima edizione Oscar Mondadori e con uno splendido autoritratto di Albrecht Dürer in copertina. Perchè è sul mio comodino? Perchè è stata una lettura illuminante durante la preparazione della mia tesi di laurea sul Kanadehon Chūshingura (dramma kabuki del 1728) e sull’episodio storico conosciuto in Giappone come Akō gishi jiken e, da noi, come “la vendetta dei 47 rōnin“. Ma questo, forse, lo spiegherò un’altra volta.