Da nipponista e lettrice appassionata, ogni libro di Fosco Maraini è stato una lettura imprescindibile, certo, ma sempre entusiasmante, arricchente. Per chi si dedica allo studio dell’Asia e in particolare del Giappone, l’incontro con Maraini, il padre degli studi sul Giappone in Italia e uno dei pionieri del dialogo interculturale, avviene naturalmente, prima o poi.
Ma non mi sarei mai immaginata, in quelle ormai lontane sere in cui rientravo a tarda ora ad Abbiategrasso – dopo il lavoro e dopo le lezioni di lingua giapponese alla Civica Scuola di Lingue Orientali di Milano che, sempre, mi mettevano a dura prova – di incontrarlo un giorno, la mattina di un settembre caldo e assolato.
Era il 2001, il mio primo convegno dell’Associazione Italiana per gli Studi Giapponesi (Aistugia), era una Venezia intima e segreta. Un monastero-hotel in una calletta nascosta, dietro campo Santo Stefano. Nelle stanze, solo nipponisti, e i maggiori, molti dei quali sarebbero diventati cari amici ma, allora, mi sentivo davvero intimidita, e felice. Come un bambino in un parco-giochi, assaporavo quella mia prima volta (ero stata ammessa proprio quell’anno), godendomi ogni conferenza, ogni dibattito, prendendo appunti, scoprendo nuovi campi di ricerca da esplorare. L’attitudine è ancora questa, quando frequento un convegno dell’Aistugia, ma quella volta fu speciale. Perché tutti soggiornavamo nello stesso hotel, e quindi le occasioni di incontro e di scambio di idee o di semplici chiacchiere si moltiplicavano.
Maraini arrivò a quel convegno, nonostante quella fragilità che l’età dona anche a coloro che abbiamo sempre creduto indistruttibili. Era sempre il nostro presidente. E i suoi interventi, le sue osservazioni brillanti, acute, lo rivelavano per l’uomo che avevo imparato a conoscere attraverso i suoi libri. Mai domo. Saggio, ma non placato.
Una mattina ci ritrovammo a colazione. Era presto. Io amavo fare una passeggiata prima dell’inizio delle sessioni, alla riscoperta dei “miei” luoghi, della “mia” Venezia.
Lo accompagnava la moglie Mieko, attenta e protettiva. Non so cosa mi spinse a non limitarmi al saluto, ma ad avvicinarmi al suo tavolo, ad esprimergli tutta la mia ammirazione, il mio affetto. In qualche modo a raccontarmi. Mi interrogò bonariamente. Sorrideva ancora con gli occhi, da ragazzo. Avevo la sensazione di un momento unico, la consapevolezza che non ci sarebbero state altre occasioni.
Venezia fuori aspettava, l’aria frizzante e il suono di campane più forte nel silenzio diffuso. Mi sembrava di aver ricevuto un grande regalo.