Sul comodino. Libri in lettura. Un omicidio al passo Mitsuse.

Nevicava, sul passo Mitsuse, in quel gennaio 2002, ed è cosa rara, nell’isola di Kyūshū. Tutto era coperto da una coltre bianca, ogni cosa. Anche il luogo dove il mese prima era stato ritrovato il corpo di una giovane impiegata di Fukuoka, Yoshino…

Il romanzo di Yoshida Shuichi che sto leggendo è la storia di un delitto e di un omicida, il malvagio del titolo, in giapponese Akunin (2007). Un libro in cui l’ambientazione è accuratamente descritta e resa tale da mettere il lettore al centro delle relazioni e degli ambienti che stringono in una rete la vittima e il presunto colpevole. Una scrittura di grande suggestione, che cattura. Una scrittura di grande qualità e asciutta che a me ricorda il miglior Simenon per la capacità di immergere il lettore in un ambiente, in mondo.

Questo è il libro che mi fa tirar tardi in questi giorni e che sto leggendo nella versione francese pubblicata dalle Editions Philippe Picquier (Arles, 2011). Si intitola Le mauvais e non è mai stato tradotto in italiano. Così come nessuno degli altri romanzi di Yoshida che, nato a Nagasaki nel 1968, è autore pluripremiato in Giappone ma del tutto sconosciuto in Italia. Chi volesse leggere Akunin ma non conosce il francese sappia che ne esiste anche una versione in inglese:  Villain, tradotta da Philip Gabriel per la Pantheon (London 2010).

Non solo, questo thriller appassionante è stato portato sugli schermi nel 2010 dal regista Lee Sang-il e il film ha vinto ben 5 Japanese Academy awards nel 2011. Un film inquietante e intrigante, proprio come il libro.

Erano da poco passate le 20 eppure non c’era nessuna vettura davanti e non ne aveva neppure incrociate salendo al colle. Gli arbusti e gli alberi erano davvero sinistri alla luce incerta dei fari. Rimpiangeva di non aver preso l’autostrada pur di risparmiare.

Aveva un bel cantare a sguarciagola per dimenticare la solitudine, subito la foresta dintorno assorbiva la sua voce.

I fari, che si può giudicare vitali nell’oscurità profonda della montagna, si erano spenti proprio nel momento in cui Hifumi aveva raggiunto infine il colle. In un primo momento aveva creduto a un problema di vista.

Subito dopo, una cosa nera attraversò il fasci dei fari baluginanti. Hifumi frenò in velocità, aggrappandosi disperatamente al volante.

I fari si spensero del tutto. All’altro lato del parabrezza la notte oscura, come se avesse gli occhi chiusi. Il motore girava sempre ma, nella foresta, tutto attorno alla vettura, le grida degli insetti erano cresciute fino a rompere i timpani.

L’aria condizionata andava a pieno regime eppure si era trovato improvvisamente bagnato. Era più che sudore – si sarebbe detta acqua tiepida che qualcuno gli avesse versato addosso.

In quello stesso momento, la carrozzeria si era messa a sussultare e il motore si era spento. Sentì allora come una presenza sul sedile del passeggero. La paura limitava il campo visivo. Non poteva voltare la testa di lato. Né girarsi. Non poteva che guardare davanti a sé.

Il motore non voleva ripartire. Hifumi urlò. Sapeva che qualcuno era seduto accanto a lui. Solo, ignorava cosa fosse.

“Come soffro!”, d’improvviso una voce d’uomo uscì dal sedile del passeggero. Hifumi s’era coperto le orecchie, tanto urlava dal terrore. Il motore ancora non ripartiva.

“Non ne posso più”, disse la voce accanto.

Hifumi mise mano alla porta per fuggire. In quell’istante, vide il riflesso di un uomo coperto di sangue sul finestrino. L’uomo lo guardava fisso. (Le mauvais, pp. 147.148; la traduzione è mia).

 

***

Cosa c’è in questo momento sul comodino?

Vediamo…

In (ri)lettura:

Persuasion, di Jane Austen, che mi piace a ogni rilettura.

Angeli custodi, ognuno per ragioni diverse:

L’art de la semplicité di Dominique Loreau, un metodo,

Night Watch di Terry Pratchett, lo dice il titolo stesso,

Michael Kohlhaas di Heinrich von Kleist, per me, fondamentale,

Abissi d’acciaio di Asimov, perché sì

La caduta di Albert Camus

Quest’ultimo libro perché mi ha insegnato – tanto, tantissimo tempo fa – che occorre sempre assumersi la responsabilità delle proprie azioni.

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