(Ri)scoprendo Borges e il Giappone.

Nella foresta di Nikkō. Lontana mia prima estate giapponese. 1998.

 

Nihon

 

 

Ho percepito, nelle pagine di Russell, la teoria degli insiemi, la Mengenlehre, che postula e esplora i vasti numeri che un uomo immortale non raggiungerebbe nemmeno se consumasse le sue eternità contando, e le cui dinastie immaginarie hanno come cifre le lettere dell’alfabeto ebraico. In tale delicato labirinto non mi fu dato penetrare.

 

Ho percepito, in definizioni, assiomi, proposizioni e corollari, la infinita sostanza di Spinoza, che consta di infiniti attributi tra i quali stanno lo spazio e il tempo, per cui se pronunciamo o pensiamo una parola, accadono parallelamente infiniti fatti in infiniti mondi inconcepibili. In tale delicato labirinto non mi fu dato penetrare.

 

Da montagne che preferiscono, come Verlaine, la sfumatura al colore, da una scrittura che esercita l’insinuazione e che ignora l’iperbole, da giardini dove l’acqua e la pietra non sono meno importanti dell’erba, da tigri dipinte da coloro che mai videro una tigre e ce ne danno quasi l’archetipo, dalla strada dell’onore, il bushidō, da una nostalgia di spade, da ponti, mattine e santuari, da una musica che è quasi il silenzio, dalle tue moltitudini a voce bassa, ho percepito la tua superficie, o Giappone. In tale delicato labirinto…

 

Jorge Luis Borges

 

 

(Da La cifra, 1981, in Tutte le opere. Vol. II,  Milano, Mondadori, 2000, trad. di Domenico Porzio)

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