Il parco (o dell’ombra del fato)
C’era un vecchio santuario shintō, con il tetto a sua volta coperto da uno più grande per preservarlo. C’era una vecchia lapide in memoria dei caduti, e dietro ce n’era una nuova per la pace (in questo piccolo quartiere, più di quattrocento vittime di guerra). Il contorno di un’arena da combattimento per il sumō usata forse in qualche giorno di festa quasi indistinguibile per le pedate che l’avevano calpestata. C’era un grande albero, con le giovani foglie trasparenti al sole sulla punta dei rami. C’era un ponte rosso di ferro che risuonava ad ogni passo quando lo attraversavi. Sotto di lui, il fiume che scorreva. C’era una statuina votiva con la testa staccata, al suo posto qualcuno aveva appoggiato un sasso. Una vecchietta è passata e ha giunto le mani.
L’aria si muoveva appena.
C’era una panchina bianca di pietra, una scala di pietra consumata, una macchina nera con dentro mia moglie addormentata. I miei due figli giocavano sulla riva a gettare sassi nel fiume. Accanto, bottiglie vuote e rifiuti di verdura marcia. Una donna pazza avanza a piedi nudi biascicando qualcosa, raccoglie una pietra e colpisce con furia la testa dei bambini. Il sangue che scorre, i bambini sono già morti… è quello che ho visto.
Nel profondo
delle cose a me visibili ci sono cose
che non vedo. Ci sono
cose che non sono nel profondo
delle cose che sono. Ci
sono
cose
che sono
nel profondo delle cose che non sono. Ciò che poteva essere e ciò che non lo era combaciano
non è proprio
in quest’atroce
prospettiva
di fertilità
la struttura stessa del mondo?
C’era un tempietto diroccato. Un basso cancello in ferro. C’erano briciole di dolci a terra. Dentro la macchina mia moglie si è svegliata e ha chiamato. I bambini sono corsi da lei ridendo, le mani ancora bagnate dell’acqua del fiume.
(1969)
Tanikawa Shuntarō
(n. 1931)
Traduzione di Alessandro Clementi Degli Albizzi.
Da: Poeti giapponesi, a cura di Maria Teresa Orsi e Alessandro Clementi Degli Albizzi,
Torino, Einaudi, 2020, pp. 27-29.