Quisquilia (Yoshunashigoto)
Un bonzo importante, o così pareva, corteggiava una donna il cui padre si prendeva amorevole cura di lei. Una volta, avendo intenzione di andare, alla fine dell’anno, in ritiro in un tempio di montagna le chiese: “Prestami una stuoia, un tatami, un catino e una brocca per il viaggio”. Allora la donna gli mandò un lungo rotolo di stuoia e il resto.
Sentito ciò, un altro bonzo, stimato dalla donna come Maestro, si disse: “Anch’io le chiederò di prestarmi qualcosa”, e le inviò una lettera, redatta con delle frasi davvero divertenti tanto che mi è venuta la voglia di copiarla qui di seguito. È proprio una lettera disdicevole, non degna di un bonzo.
“Un abitante della Cina o di Silla [regno della penisola coreana], o di un paese molto molto lontano, oppure del nostro paese, un montanaro gretto o un servo avido potrebbero forse scrivere una lettera simile. Tra l’altro, il nome di un vecchio intrecciatore di cortine di bambù era sulla bocca di tutti per una certa faccenda con la figlia di un gran principe, in quanto, pur essendo di umili natali, nutriva una speranza in fondo al cuore. Forse penserai che il mio cuore non è all’altezza di quello del vecchio ma non ho scelta.
“Desolante e triste è il mondo; quanto spesso assistiamo a eventi strazianti in cui questa o quella persona che abbiamo vista o della quale abbiamo sentito parlare svanisce come la brina mattutina o si confonde con le nubi crepuscolari. Sembra proprio di essere nel ‘mondo in cui i vivi si diradano e i defunti aumentano’; e attanagliato incessantemente dai pensieri e dall’ansia per questa vita, continuo a vivere in attesa di quando ‘si sarà avvicinato il mio momento’. Non posso fare a meno di pensare, con il cuore triste: ‘Dopo tutto la vita di quaggiù è più breve del lampo, e svanisce più presto della fiamma al vento’.
“A questo punto, con superba fermezza, ho preso questa decisione: ‘Come vorrei una dimora tra le vette del monte Yoshino, la terrei quale riparo dal mondo quando questo si fa inesorabile’. Ma dove potrò ripararmi? Su qualche vetta tra il monte Fuji e la cima di Asama, o potrebbe anche andare bene una fenditura tra il monte Kamado e Hinomisaki. O la valle tra lo Shirayama e il Tachiyama, oppure quella tra i monti Atago e Hie; comunque sia, penso di condurre una vita ritirata, cancellando ogni traccia di me, in un posto di non facile accesso.
“Questo paese è ancora troppo vicino. Sarebbero ottime le cinque vette in Cina o la vetta di Silla; ma anche queste sono troppo vicine. Mi ritirerò in una montagna dell’India, forse nella grotta della vetta del monte Gallo. No, no, è ancora troppo vicino. Se solo potessi alzarmi in volo sopra le nuvole, tenendo compagnia alla luna e al sole, o risiedere in aria in mezzo alla foschia!
“Con questo progetto in cuore sto facendo i preparativi, ma dovunque vada, finché non riesco a sbarazzarmi del mio corpo, avrò pure bisogno di molte cose. A chi potrei rivolgermi? È da molto ormai che ho l’onore di una stretta conoscenza con te. Siccome ho spesso sentito dire che sei compassionevole di cuore, ho pensato di rivolgermi a te in un’occasione come questa. Hai delle cose che mi possano servire per il viaggio? Prestamele, per favore.
“Vediamo di cosa ho bisogno innanzi tutto. Come requisito per alzarmi in volo sopra le nuvole, un manto celeste di piume è proprio indispensabile. Cercamelo, per favore. Se ciò non è possibile, una sottoveste e una coperta normali; altrimenti, almeno un kimono di canapa imbottito, anche rattoppato.
“Poi: una casa larga una decina di ken, dal tetto di corteccia di cipresso e con un porticato, una grande sala principale, una cucina e una rimessa, ma forse sono troppo ingombranti da portare lontano. Perciò, dammi qualcosa che possa trasportare allacciato in vita, quindi una baracca.
“Hai dei tatami? Quelli con il bordo di broccato, di disegno coreano, di color iride o viola. Se non ne hai di questi, prestami un tatami logoro, bordato di canapa. O uno di giunchi tagliati a Tamae, o uno di Suga dal campo Katano dove dicono sia difficile incontrare l’amata, o altro; prestami solo ciò che hai. Ma non darmene uno di falaschi largo dieci coste.
“Quanto alla stuoia, andrà bene una di Izumo che dicono prodotta sulla costa rocciosa del mare burrascoso, o una di Tsukushi che dicono provenga dalle vicinanze di Ikinomatsubara, o una di Mitsufusa che dicono originaria della baia di Miruo, o una di Tanami i cui giunchi dicono tagliati nel braccio di mare, o una a corda di Shichijō. Prestami, ti prego, ciò che hai. Se non ce n’è una intatta, dammene una sfilacciata.
“Ho bisogno anche di una paravento. Andrà bene uno con pitture cinesi, o giapponesi, o uno di stoffa, o uno cinese bordato d’oro, o uno in stile di Silla con borchie gemmate. Se non ne hai di questi, prestami un paravento di vimini anche se è un po’ rotto.
“Hai un catino? Andrà bene uno rotondo o uno di ferro battuto. Se non ne hai, prestamene almeno uno sbeccato.
“Prestami anche una pentola di Noto, di quelle che dicono fuse al capo Keburi, o una di Sanuki che dicono prodotta nel campo Matsuchi, o una di Yamato che dicono provenga da Isonokami, o una di Ōmi, di quelle che si sovrappongono una sull’altra alla festa di Tsukuma, o una di Kōchi che dicono prodotta nell’antica scuderia imperiale di Kasuha, o una da appendere, battuta a Ichikato, o una di ferro, fuso a Tomu o a Kataoka, o una per fare le caramelle.
“Avrei anche bisogno di un braciere e di un vassoio, di quelli che dicono prodotti a Ōku.
“Necessari sono anche un gran parasole proveniente da Shigaraki e un mantello di paglia da portare sotto la pioggia. Vorrei anche avere un cofanetto di Iyo, e un canestro di Tsukushi rivestito di cuoio; se no, prestami almeno un cofanetto come quello di Urashima, o una borsa di pelle.
“È cosa noiosa da menzionare, ma finché la mia vita non svanisce come la rugiada, ho bisogno anche di cibi. Pere fragranti e abbondanti di Shinano, castagne dai rami del monte Ikaruga, faggine Wakasa del distretto di Mikata, alghe marine Tago provenienti da Amanohashidate, lattuga marina dolce dell’insenatura di Izumo, ciambelle di Monohashi, rape Kōchi dal distretto Wakae, pasta di riso Ōmi di Yasu e di Kuromoto, melone secco Iga di Komatsu e di Kamoto, semi di pino della vetta Kaketa, akebia dall’isola Michiku, e mandarini di Koyama. Se non ne hai, dammi fagioli tostati, di quelli preferiti dalla vedove.
“Veramente, c’è un mucchio di cose di cui ho bisogno. Vorrei avere almeno una pentolina a tre gambe, una striscia di stuoia, e un catino di terracotta. Se sei così gentile da prestarmeli, non affidarli al primo venuto ma, ti prego, dalli a due ragazzi al mio servizio , di nome Vapore del Grande Cielo e Schiuma del Mare.
“Il luogo dell’appuntamento è a un’estremità del ponte di gazze sulla riva della Via Lattea a monte del campo di Shinado. Assicurati che siano consegnati lì. Se non ho queste cose, temo di non poter ascendere al cielo. Giacché conosci a fondo la commozione che suscitano le cose di questo mondo, ti prego di procurarmele. Sento ancora intensamente che il mondo è doloroso; cerca di capire il mio stato d’animo e aiutami ad accelerare la partenza.
“Non far vedere ad altri questa lettera, mi raccomando! Temo che qualcuno possa considerarmi avido. Invia la tua risposta al cielo. Mai, mai farla vedere ad altri.”
Per alleviare i miei momenti d’ozio, ho scritto questa quisquilia. Ne avevo sentito parlare, e dato che mi era sembrata stravagante, ho voluto aggiungerla qui a cose come il rumore del vento, il cinguettio degli uccelli, il canto degli insetti e il mormorio delle onde.
Anonimo (fine XII secolo)
Da: Le concubine floreali. Storie del Consigliere di Mezzo di Tsutsumi (Tsutsumi Chūnagon monogatari, XII sec.), Venezia, Marsilio, 1989, pp. 159-163.
Traduzione e curatela di Yoko Kubota.
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Della raccolta di novelle di tardo periodo Heian (fine XII sec.) che è stata compilata forse da un consigliere di mezzo di cui non è mai stato possibile individuare il nome, il brano intitolato Quisquilia rappresenta la parodia delle enumerazioni grottesche che tanta parte hanno nella letteratura giapponese, e di quella umoristica di periodo Edo in particolare. L’effetto umoristico è accentuato dal fatto che la lista, o monozukushi, in questo caso è opera di un monaco che approfitta dell’occasione per fare sfoggio, a sproposito, naturalmente, della sua erudizione. Ma liste celebri compaiono già nel Makura no sōshi di dama Sei Shōnagon, quindi in un’opera di pieno periodo Heian. Ho già trattato questo tema nel saggio “L’arte sopraffina della lista. Il monozukushi come catalogo del mondo” pubblicato sul n° 107 di Pagine Zen (settembre-dicembre 2015) e che potete trovare qui: https://temizen.zenworld.eu/paginezen/archivio/pagine-zen-107
Ma intanto gustiamoci la curiosa lista di richieste di un bonzo davvero esigente…