Il taxi si avvicinò a Henzomon e superò l’Ambasciata Britannica. Qui, in tutta la loro purezza, si allargavano i famosi vialetti di ciliegi. Di impulso decise di andare da sola a vedere i fiori nella notte scura. Era una decisione strana per una donna timida e aliena dalle avventure come lei, ma si trovava in una strana condizione psicologica e odiava dover tornare a casa. Quella sera le passava per la mente ogni genere di fantasie disordinate.
Attraverso il largo viale, figura solitaria e minuta nell’oscurità. Di regola quando camminava nel traffico Toshiko era solita aggrapparsi piena di paura al compagno, ma quella sera sgusciava da sola tra le auto e dopo pochi attimi raggiunse il lungo e stretto parco che costeggia il fossato del Palazzo, chiamato Chidorigafuchi: l’Abisso dei Mille Uccelli.
Quella sera il parco era diventato un bosco di ciliegi in fiore. I ciliegi formavano una solida massa bianca sotto il calmo cielo coperto di nuvole. Le lanterne di carta appese a fili tesi tra gli alberi erano state tolte; al loro posto, brillavano ottusamente lampadine elettriche gialle, verdi e rosse. Le dieci erano passate da un pezzo e la maggior parte della gente venuta per vedere i fiori era andata a casa. I passanti occasionali che attraversavano il parco automaticamente gettavano da parte le bottiglie vuote o la carta che trovavano davanti ai piedi.
[…]
La maggior parte della gente ancora in giro era costituita da coppie tranquille e nessuno le prestò attenzione. Notò due persone sedute su una panchina di pietra vicino al fossato, che non guardavano i fiori, ma fissavano l’acqua silenziose.
Era buio pesto ora, e dappertutto incombevano ombre scure. Oltre il fossato, la fitta foresta del Palazzo Imperiale le chiudeva la vita. Gli alberi si alzavano per formare una solida massa scura contro il cielo notturno. Toshiko si incamminò lentamente lungo il viale tra i fiori che le incombevano pesantemente sul capo.
Notò un oggetto chiaro su una panchina di pietra leggermente appartata dalle altre. Non era come aveva pensato in un primo momento, un mucchio di fiori di pesco, e nemmeno un indumento dimenticato da uno dei visitatori del parco. Solo quando fu più vicina si rese conto che si trattava di una forma umana sdraiata sulla panchina. Si chiese se fosse per caso uno di quei miserabili ubriachi che spesso capita di veder dormire nei parchi. Ovviamente non era un ubriaco, dato che il corpo era stato ordinatamente coperto da giornali, ed era stato proprio il bianco dei giornali che aveva attratto l’attenzione di Toshiko. In piedi davanti alla panchina abbassò gli occhi sulla figura dormiente.
Era un uomo con una maglia marrone, disteso su uno strato di giornali, mentre altri giornali lo coprivano. Senza dubbio questa con l’arrivo della primavera era diventata la sua residenza abituale. Toshiko lanciò un’occhiata ai capelli sporchi e disordinati dell’uomo, che qua e là erano diventati irrimediabilmente intricati. Mentre osservava la figura dormiente avvolta nei giornali, inevitabilmente ricordò il bambino che giaceva sul pavimento avvolto nei panni miserabili. La spalla della maglia dell’uomo si sollevava e si abbassava nell’oscurità sul ritmo del suo respiro pesante.
Parve a Toshiko che tutte le sue premonizioni avessero preso forma concreta. La fronte pallida dell’uomo si stagliava nell’oscurità. Era la fronte di un giovane, anche se segnata da una lunga povertà e dagli stenti. I calzoni kaki erano leggermente sollevati: calzava solamente un paio di scarpe da ginnastica sdrucite. Toshiko non riusciva a vedergli il viso e improvvisamente sentí il desiderio irresistibile di dargli un’occhiata.
Andò all’estremità della panchina e guardò in basso. La testa dell’uomo era seminascosta tra le braccia, ma Toshiko poté ugualmente vedere che l’uomo era sorprendentemente giovane. Notò le spesse sopracciglia e il naso sottile. La bocca leggermente aperta viveva di giovinezza.
Ma Toshiko si era avvicinata troppo. Il letto di giornali scricchiolò nella notte silenziosa, e di colpo l’uomo aprí gli occhi. Nel vedere la giovane donna in piedi dinanzi a lui, saltò in piedi con un balzo e gli occhi gli si illuminarono. Un attimo dopo l’uomo allungò un braccio robusto e prese per il polso sottile Toshiko.
Toshiko non provò la minima sensazione di paura e non fece nessuno sforzo per liberarsi. Un pensiero la colpí come un lampo: ah, allora i vent’anni sono già passati! Il bosco del Palazzo Imperiale era buio ora e assolutamente silenzioso.
Mishima Yukio
(1925-1970)
Traduzione dal giapponese di Marco Amante.
Da: “Fasce per bambini” in Morte di mezza estate e altri racconti, Milano, Longanesi, 1971, pp. 246-249.
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Per salutare questo strano aprile ho scelto una passeggiata notturna fra i ciliegi, il brano conclusivo di un racconto di Mishima, tratto da Morte di mezza estate, una delle sue opere di più “antica” traduzione in lingua italiana. La raccolta è celebre soprattutto per il racconto Patriottismo (Yūkoku) da cui lo stesso scrittore aveva tratto nel 1953 un medio metraggio che aveva diretto e interpretato e in cui metteva in scena la propria morte con un realismo tale che la vedova fece ritirare tutte le copie della pellicola che fu riscoperta solo nel 2005.