Livres de chevet: questa settimana, sul mio comodino, fine ottobre.

comodino

Ecco cosa sto leggendo in questi giorni, la notte, in questo piovoso scorcio di ottobre:

Quelli che non dormivano. Diario, 1944-1946, di Jacqueline Mesnil-Amar, edito da Guanda.

Come ho amato e sto amando questo libro struggente, feroce, lucido e appassionato!  Ne sono certa, mi rimarrà dentro a lungo ed è proprio è per questo che lo terrò sul comodino insieme al “mio” Kolhaas”. Diario scritto nei giorni cupi dell’occupazione nazista di Parigi, questo libro è anche canto della città, disperata dichiarazione d’amore nei confronti del marito di cui non ha notizia (prigioniero? deportato? fucilato?), testimonianza necessaria. E andrebbe letto da tutti, imprescindibile memento.  Così scrive:

Tutti quegli anni ingarbugliati  sono dentro di me, stasera, e tutte le tue facce, André, emergono dalla mia stanchezza. Sei tu a differenti età, giovane studente vestito di grigio chiaro in na primavera lontana – quando ci davamo appuntamento in fondo al parco di Cluny, o sull’isola del Bois de Boulogne, che di colpo in tua presenza mi sembravano l’Alhambra di Granada, le fontane zampillanti di Siviglia… (…)                                                                                                          E, un po’ alla rinfusa, anche le mie successive Parigi, che mi fanno una grande sarabanda in testa, i quartieri alti della mia giovinezza, i viali del Bois de Boulogne, poi la Parigi della mia vita errabonda e clandestina, cuore parigino che palpita, tutti i vicoli di Montmartre dove ho portato a spasso la mia solitudine, la mia vta da “straniera”, rue Caulaincourt, place Jules-Joffrin, la triste rue des Saules, e infine questa calda e popolosa rue de Clichy dove alloggio, la Parigi delle nostre fughe, delle retate, delle tue prigioni, degli appuntamenti all’imbocco del metrò, nei caffè, la Parigi in cui ho avuto paura, in cui ho pianto, dove aspetto…

Paris. Solitude.
Paris. Solitude.

 

 E ho finito di leggere, nella traduzione francese:

Inoue Yuki, Mémoires d’une geisha, edito da Philippe Picquier. Niente a che vedere con il romanzo di Gordon, inoueovviamente. Piuttosto, una testimonianza della vita nel quartiere delle geisha di Kanazawa, a cavallo fra Ottocento e Novecento. La vita della geisha Kinu Yamaguchi, nata nel 1892, raccolta da Inoue Yuki e presentata senza misteri e senza idealizzazioni, semplicemente nella sua quotidianità, a volte dura, a volte insopportabile, a volte, per la protagonista, piacevolmente rassicurante. Utile per capire un mondo troppo spesso frainteso, è una lettura interessante e illuminante. E, vivaddio, mai zuccherosa!

 

Ed infine ho letto Il paese più stupido del mondo, di Claudio Giunta, edito da Il Mulino. Giudizio sospeso. Ma questa osservazione dell’autore mi sento di sottoporla ai miei ben più rari lettori:

Se uno va in Giappone per più di dieci giorni e di mestiere scrive – se fa lo scrittore-scrittore o lo scrittore-giornalista, o il filosofo, o il critico “creativo” -, al ritorno scrive del Giappone. In nessun altro paese del mondo la tentazione di dire la propria opinione è tanto forte. E più la propria opinione è immotivata, costruita sul niente, sull’ignoranza di tutto, più viene voglia di scrivere. (cfr pag. 105)

 

Appunto.

1 commento

  1. Non ho letto il libro, di cui non mi piace molto il titolo. ma le cinque righe da te citate sono più che condivisibili. Quanti articoli abbiamo letto sul Giappone scritti negli anni da persone che ci erano soltanto “passate” e in pochi giorni avevano capito tutto? innumerevoli. E naturalmente i lettori credono più a un giornalista di passaggio che a una persona che conosce il Giappone, ci ha vissuto anni e anni, l’ha studiato e, dopo aver cercato di capirlo, ha deciso di amarlo così com’è, con i suoi inevitabili difetti, ma con i suoi grandi pregi.

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