Japonismes. Letture per farci compagnia. Un italiano nella notte.

Autore sconosciuto, Festa notturna a Hanazono, 1910 circa.

 

Le notti giapponesi

Tokio, 5 luglio 1904

Non credo che Luigi Illica, librettista dell’Iris, sia mai venuto in Giappone. So che il geniale maestro, autore della musica, non conosce questo paese nemmeno per approssimazione. Se però mi accade di passeggiare di notte per le vie di Tokio o di Yokohama, non posso fare a meno di rivedere davanti agli occhi le pagine ispirate del secondo atto dell’opera.

Quello scintillio di lumi, quel tremolare di lanterne multicolori, quella folla che si addensa vicino alle case per spiarne l’interno. Tutte queste vicende che vediamo nell’opera di Mascagni sono esattamente e singolarmente conformi alla realtà. Le notti giapponesi rassomigliano poco alle notti dei paesi europei perché in Giappone fino a sera inoltrata tutta la popolazione è per strada. Sono queste le ore destinate non solo al divertimento chiassoso ma anche agli acquisti indispensabili per vivere. Questo accade sia nelle città che nei paesetti meno popolati. Fiaccole, lanterne di carta dappertutto in gruppi luminosi ed isolate. Attorno al punto luminoso sta accoccolata l’intera famiglia che, messe in vetrina le stoviglie di creta, di latta o di legno, aspetta con rassegnata calma gli acquirenti. Passeggiare di notte per quelle strade è impresa difficile e si può correre il rischio di fracassare o schiacciare il patrimonio del commerciante.

Pochi giorni fa sono andato in bicicletta da Tokio a Yokohama. Erano le tre del pomeriggio ed ho fatto il percorso senza troppa difficoltà sebbene fra le due città, i villaggi si succedano senza interruzione. Ritornando a notte inoltrata ho impiegato il triplo del tempo perché in ogni villaggio ero costretto a smontare dalla bicicletta e camminare tra la folla con il pericolo, più di una volta, di massacrare la merce esposta o essere schiacciato dalla folla.

 

Cori invisibili

A mezzanotte il clamore si attenua, le grida dei venditori non si odono più, i lumi si spengono, la merce rientra in casa. Passa un’altra ora e le voci umane cedono il posto alle voci più suggestive della natura. Scintillano nel puro cielo le stelle e subentra un indistinto e quasi impercettibile bisbiglio di gente che si desta. Sono le foglie degli alberi che la brezza della notte muove, agita e dopo intervengono le voci degli animaletti, ora acute e stridule, ora sommesse e impercettibili. Sembra di sentire una folla di piccoli esseri che ride in lontananza ma ride con dolcezza fino a quando il rumore diventa quasi chiassoso per il canto notturno delle cicale e per il gracidare delle rane nelle infinite risaie.

Le cicale in Giappone non cantano come da noi e non esagero affermando che il loro canto ha una singolare armonia, ha qualche cosa di musicale, si potrebbe dire un invisibile coro umano che obbedisca ad un immaginario fantastico direttore d’orchestra. È un inno esaltante che interrompe gradevolmente la tacita e solenne maestà della notte. Allo stormire delle foglie, al sussurro dei campi di riso su cui passa rabbrividendo la brezza che viene dal mare, si accompagnano e si sposano profumi che sono trasportati dal vento attraverso l’aria ad ondate successive. Sono i profumi dei campi su cui crescono a perdita d’occhio gli iris, i poetici fiori variopinti meravigliosamente fusi in tutte le gradazioni del verde, del lilla, del rosa e del bianco. Non avevo mai visto prima la varietà di iris color rosa. Sono di un rosa intenso che ricorda il colore della carne viva. Negli sterminati campi dove abbonda la lussureggiante vegetazione, l’occhio di chi guarda si perde come davanti ad un immenso mare fantasticamente colorato e senza confini.

Allora l’immaginazione vola e vola al di là e sente acuto il desiderio di penetrare i lontani orizzonti, di tuffarsi ed immergersi in quell’oceano di colori.

Le voci notturne della natura sono di tanto in tanto interrotte dal malinconico fischio del cieco, che ha un suono lugubre, quasi tragico. E il guardiano del fuoco che batte l’una contro l’altra due piccole piastre metalliche per far sapere alla gente che egli non dorme. Si ode anche il corno di vetro della diligenza che sta passando ed è diretta a paesi dell’interno dove la ferrovia non giunge ancora. Suoni, voci e canti d’animali si fondono in un concerto non accordato ma non dissonante che turba e commuove. Il pensiero va alla patria lontana, alle care consuetudini bruscamente interrotte, alla famiglia, agli amici. Senza alcun sentimento d’essere venuti fin qui, ci si stupisce di non provare la necessità di correre al porto più vicino e di imbarcarsi sul primo piroscafo in partenza. Ma non si può facilmente liberarsi dall’irresistibile fascino di questo singolare paese che fino a pochi anni fa era chiuso in uno stato medioevale e viveva tra consuetudini lontanissime da quelle europee.

Oggi invece egli ha conquistato un posto d’onore fra le nazioni più progredite e combatte eroicamente.

Fino a pochi anni fa il Giappone, privo di navi corazzate e di incrociatori, doveva subire la prepotenza dei più forti. Oggi, una flotta formidabile tiene a bada le squadre russe ed è dominatrice dei mari, invita a battaglie navali il nemico che riesce quasi sempre a sfuggirgli e stringe l’assedio dalle parti di mare e di terra quel Port Arthur che considera suo come legittima conquista di guerra.

 

Salvatore Positano de Vincentiis

(1878-1918?)

 

Da: Il Giappone alle porte del secolo.

Reportage da due navi italiane alla guerra russo-giapponese,

a cura di Fiammetta Positano De Vincentiis, prefazione di Fosco Maraini, Viaggi & avventure, Milano, 1990, pp. 43-45.

 

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Ingegnere navale, gran viaggiatore, acuto osservatore, Salvatore Positano de Vincentiis ebbe la ventura di arrivare in Giappone allo scoppio della guerra russo-giapponese (1904-1905) per accompagnare due incrociatori corazzati fabbricati dall’Ansaldo di Genova che l’Italia, paese neutrale, aveva venduto all’Argentina e da questa rivenduti al Giappone. L’ingegnere rimase poi sette anni in Giappone come addetto commerciale dell’Ambasciata di Italia a Tōkyō. Le lettere di Positano durante la guerra russo-giapponese vennero pubblicate come corrispondenze prima dal Corriere della Sera e, successivamente, dal Giornale d’Italia e furono poi raccolte in un’unica narrazione “a diario”, dalla figlia Fiammetta Positano De Vincentiis dopo un’accurato lavoro di ricerca durato vent’anni. In queste pagine Positano, oltre a offrire ai suoi lettori molte informazioni sullo scenario bellico (un tema che appassionava il pubblico europeo dell’epoca), ci danno un’idea affatto scontata della vita quotidiana giapponese vista da un osservatore sensibile e curioso, come si evince dalla pagina che vi propongo.

Una nuova edizione del reportage di Positano De Vincentiis è stata pubblicata nel 2005 dalla casa editrice De Ferrari di Genova con il titolo di Incrociatori per il Sol Levante, sempre a cura della figlia Fiammetta Positano De Vincentiis.

 

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