I fiori di ciliegio son forse da ammirare soltanto nel massimo rigoglio e la luna nel suo pieno splendore? Vagheggiare la luna brumosa attraverso la pioggia o ignorare al chiuso di una buia stanza quanto avanzata sia la primavera: com’è più intenso allora l’incanto! Ancora, le punte dei rami dei ciliegi quando stanno per schiudersi i fiori, o un giardino tappezzato di petali caduti…: quante altre sono le scene mirabili!
Nelle prefazioni in prosa delle poesie troviamo scritto: “Eravamo andati per vedere i fiori, ma purtroppo erano già caduti…”, oppure “Per un impedimento non sono potuto andare…”: sono forse questi spunti meno suggestivi di quando viene detto: “Ammirando i fiori di ciliegio…”?
La commossa nostalgia che proviamo al cadere dei fiori o al declinar della luna è un modo abituale di sentire, eppure il bifolco più rozzo arriverà a dire: “Da questi rami e da quelli laggiù i fiori son già tutti caduti. Oramai non c’è più nulla da vedere”. Così è per tutto: è proprio l’inizio e la fine delle cose ad avere sapore. Anche l’amore tra un uomo e una donna, dovremmo forse dire che consista soltanto nei momenti in cui si incontrano?
Quando si ha in cuore lo strazio per non aver più incontrato l’amata, o ci si tortura per una promessa vana, o in attesa dell’alba si trascorrono lunghe notti solitarie struggendosi al pensiero di colei che è lontana, o quando nella casa invasa di sterpi si rimpiange il tempo passato: ecco, amare significa proprio saper assaporare quei momenti.
Kenkō Hōshi
(1283?-1352?)
Da: Tsurezuregusa (Ore d’ozio), a cura di Adriana Boscaro (traduzione di Luisa Randazzo curata da Inagaki Kyoko e Asai Tomoko), Venezia, Marsilio, 2014, pp. 120-121.