わびぬれば
今はた同じ
難波なる
身をつくしても
逢はむとぞ思ふ
Wabinureba
ima hata onaji
naniwa naru
mi o tsukushite mo
awamu to zo omou
Motoyoshi Shinnō
(890-943)
Nella mia disperazione, | Depresso immobile | Nella mia disperazione |
ormai tutto è uguale per me; | come i pali di Naniwa | ormai tutto è uguale per me |
anche se dovessi esaurire me stesso | io mi consumo | al punto che per incontrarti |
(pali che siete a Naniwa) | per voler rivederti | non esiterei a immergermi nell’acqua |
io voglio rivederti. | nella dura eguaglianza. | come un segnale di rotta a Naniwa. |
Trad. Marcello Muccioli. | Trad. di Nicoletta Spadavecchia. | Trad. di Andrea Maurizi. |
Fonte per il testo giapponese:
Japanese Text Initiative della University of Virginia Library.
Le traduzioni sono tratte da:
Marcello Muccioli (a cura di), Fujiwara Teika, La centuria poetica, Milano, SE, 2000 (1a ed. Firenze, Sansoni, 1950).
Nicoletta Spadavecchia, Michelangelo Coviello (a cura di), Fujiwara Teika. Tanka. Antologia della poesia classica giapponese, Milano, Corpo 10, 1990.
Andrea Maurizi, Poesie di cento poeti in Virginia Sica, Francesca Tabarelli de Fatis (a cura di), Lo spirito giovane della calligrafia classica. Personale di Kataoka Shikō, Trento, Go Book, 2006.
☛ Ho scelto queste traduzioni e non altre, che pure esistono, perché già nella mia disponibilità.
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L’immagine che ho scelto per illustrare il waka n°20 è di Katsushika Hokusai (1760-1849), celeberrimo artista del tardo periodo Edo la cui sensibilità è, inevitabilmente, molto diversa da quella che ha dato origine al componimento poetico del principe-poeta Motoyoshi, figlio dell’imperatore Yōzei.
E in questa immagine, ecco cosa vedo.
Questa stampa, molto conosciuta, fa parte della serie Le cento poesie per cento poeti come raccontate dalla nutrice, serie per la quale Hokusai realizzò solo 27 delle 100 stampe previste.
La scena, sottilmente allusiva, va interpretata attraverso un’attenta lettura del waka del principe Motoyoshi, celebre per la fama di grande amatore che lo accompagnava.
Nel testo l’uso di un kakekotoba (parola-perno) permette il riferimento a due significati diversi utilizzando una medesima espressione, un espediente poetico che permetteva il rispetto della regola di brevità: nel quarto verso, infatti, l’espressione mi o tsukushite (dal verbo tsukusu), che vale per “consumarsi”, “struggersi”, è affine a miotsukushi, che sta a indicare i pali di segnalazione per i naviganti delle secche prossime alle coste nella baia di Naniwa (attuale Ōsaka). Ma per alcuni commentatori antichi, se anche il toponimo Naniwa poteva essere inteso come parola-perno, il na di Naniwa andava allora interpretato con il significato di “nome” e visto come un riferimento allusivo alla reputazione del poeta o addirittura della coppia. Si sa infatti che il waka era stato spedito da Motoyoshi alla dama Fujiwara no Hōshi, concubina dell’imperatore in ritiro Uda, e con questa dama il poeta aveva avuto una relazione pare di dominio pubblico.
La stampa di Hokusai presenta più piani prospettici. Sullo sfondo è il paesaggio della costa, meglio, una stretta insenatura chiusa, da un profilo di verdi colline che si prolunga in un indistinto paesaggio nel quale si scorgono con difficoltà, in lontananza, i tetti di paglia di un villaggio e, dietro a questi, il cielo rosseggiante del tramonto.
In primo piano è una riva verdeggiante. A sinistra è lo scorcio dei tetti di paglia di due case vicine, circondate da una vegetazione di un’intensa sfumatura di verde-blu. Lungo il profilo della costa, emergenti dall’acqua, sono i pali di segnalazione di aiuto ai naviganti, in cui il poeta sembra identificarsi, come appare dalla lettura del waka. Sulla verde striscia di prato antistante il mare sono tre personaggi: due donne e un uomo. Quest’ultimo è un portatore dal caratteristico kimono a righe scure, corto per agevolare la marcia, e reca sulle spalle una grossa scatola avvolta da un furoshiki verde, presumibilmente il bagaglio dei due personaggi femminili. Sul furoshiki spicca il carattere 山 (yama, montagna) che si può leggere anche san, un riferimento nascosto all’editore Ise Sanjirō che aveva preso in carico la produzione della serie a partire dal 1835. Le due donne, parzialmente nascoste dagli ombrelli aperti, sono con tutta evidenza due cortigiane: l’obi pendente dell’una, il sottokimono rosso e i numerosi spilloni decorativi che caratterizzano l’acconciatura dell’altra ne sono chiari indizi. Entrambe sono rivolte verso il mare: staranno forse guardando i pali infissi nell’acqua, o sostano pensando a un appuntamento che forse le attende?
Infine, davanti all’osservatore, in primissimo piano, è un sentiero lastricato e su quel sentiero si muove, riluttante, un bue carico di fascine, trascinato da un contadino il cui ampio copricapo in paglia, spinto in avanti dal gesto di fatica , crea un curioso dialogo con i due ombrelli di carta delle donne.